di Gaetano Gorgoni
Roberto Tanisi, 63 anni, originario di Taviano, giudice di lungo corso e presidente dell’ANM di Lecce e Brindisi e Taranto, due mesi fa ha cominciato a svolgere la funzione di presidente della Corte d’Appello: subentra a Marcello Dell’Anna, in pensione dal 31 dicembre del 2016. Il presidente inizia dapprima come pretore a Santhià, Vercelli e Lecce per passare, quindi, nel Tribunale del capoluogo, dal quale è transitato alla locale Corte di Appello prima di esservi nuovamente assegnato, nel 2010, con funzioni semidirettive. Incontriamo il presidente in una mattinata come tante altre, piena zeppa di lavoro: lui dà il buon esempio a tutti lavorando sodo e cercando di smaltire processi. I tribunali hanno ancora bisogno di tanto personale, perché troppi operatori vanno in pensione e pochi arrivano a dare man forte. Con lui abbiamo affrontato i temi più caldi della giustizia italiana.
Presidente, tutti i governi promettono di resuscitare la giustizia in Italia: però diventa sempre più costosa per i meno abbienti e, prima di arrivare al giudizio definitivo, gli anni passano e i reati si prescrivono. A che punto siamo con il superamento di questo problema?
“La giustizia in Italia non è morta, dunque non occorre resuscitarla. Occorre, invece, darle nuova linfa, fare in modo che sia rapida ed efficace. Al di là delle tante parole, non mi pare si vada in questa direzione. Giustizia costosa per i meno abbienti, lei dice. È vero che negli ultimi anni i costi della giustizia, soprattutto civile e amministrativa, sono notevolmente aumentati, ma va detto anche che il nostro Paese è quello che, secondo dati CEPEJ, vanta uno dei contenziosi più alti in Europa. Il che si traduce, ovviamente, anche in un allungamento dei tempi della giustizia. A volte litigare conviene, soprattutto a chi ha poco o nulla da perdere, o a chi si trova oggettivamente in una posizione di vantaggio, come chi è più abbiente. Probabilmente, più che pensare a meccanismi di degiuridicizzazione (mi scuso per la brutta parola) o ad aumentare i costi legati al promovimento del giudizio, occorrerebbe studiare dei meccanismi atti a scoraggiare il ricorso ingiustificato o in male fede alla Giustizia, magari mediante la prestazione di cauzioni (incamerabili dallo Stato in caso di palese infondatezza della domanda) o rendendo economicamente più pesante la condanna alle spese e ai danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c”.
E’ vero che in galera ci restano solo i poveri che non hanno un buon avvocato da pagare, mentre i furbi, i colletti bianchi e i mafiosi trovano sempre un modo per uscirne?
“Posta così, la domanda è generalizzante e semplicistica. Certo, avere un buon avvocato aiuta e un buon avvocato costa. Ma – ripeto – non si può generalizzare e ritenere che chi è ricco e potente riesca a farla sempre franca. La cronaca di tutti i giorni ci parla di arresti c.d. “eccellenti” ed anzi, se un rimprovero (uno dei tanti) viene fatto da un po’ di anni alla Magistratura, è proprio quello di prestare particolare attenzione al mondo dei colletti bianchi e della politica, più che a quello della c.d. criminalità di strada. Ovviamente anche questa posizione è strumentale, perché la Magistratura non fa distinzioni preconcette, tenuto conto che, secondo la nostra Costituzione, l’azione penale è obbligatoria”.
Qual è la media dei reati prescritti nell’anno a Lecce? Qual è il tempo necessario per ottenere giustizia in un processo penale a Lecce?
“La media delle prescrizioni nel distretto di Lecce è molto bassa, una delle più basse in Italia, e questo lo si deve alla grande abnegazione dei magistrati salentini. Quanto ai tempi della giustizia penale, questi sono in linea o leggermente inferiori alla media nazionale. Ciò detto, i tempi della giustizia in Italia restano intollerabilmente lunghi, ma ciò dipende da molteplici cause, e qui il discorso rischia di essere molto lungo. In sintesi: la farraginosità del codice di rito, le carenze strutturali, l’istituto della prescrizione, così come oggi è strutturato (che oggettivamente contribuisce ad allungare i tempi del giudizio le volte in cui l’imputato veda concretarsi la possibilità della prescrizione), il fatto che il nostro Paese ha tre gradi di giudizio, che significano maggiori garanzia ma anche tempi più dilatati. Tutto ciò contribuisce ad allungare i tempi di definizione dei processi”.
Ha saputo che il presunto boss Roberto Nisi, condannato a 18 anni, torna in libertà per decorrenza dei termini? Eppure, è stato arrestato solo 5 anni fa. Può spiegare a chi è un profano cosa succede in questi casi?
“Ne so ciò che ho letto sui giornali. La custodia cautelare ha dei termini rigorosi ed anche abbastanza ampi, cadenzati sulle varie fasi del processo. Può accadere, tuttavia, che nel corso del giudizio vi siano intoppi di natura procedurale (come, per esempio, il sollevare una questione di legittimità costituzionale, che richiede tempi lunghi di definizione) e, in questi casi, per quanto diligente possa essere il giudice, il decorso del tempo, oltre i limiti di legge, comporta necessariamente il venir meno della misura cautelare”.
Presidente com’è andata a finire con gli accorpamenti dei tribunali? La sede penale è obsoleta e la terra promessa di una nuova sede resta una chimera
“Gli accorpamenti delle Sezioni distaccate sono stati tutti ultimati e dal punto di vista del funzionamento del sistema giustizia se n’è avuto complessivamente un giovamento (tanto è vero che, probabilmente non a caso, proprio negli ultimi 3-4 anni il trend dei processi definiti supera abbondantemente le sopravvenienze). Resta il problema logistico, con gli uffici giudiziari allocati in plessi diversi e inadeguati. La ‘terra promessa’ di una nuova sede giudiziaria, tuttavia, non resta una chimera, perché per parte mia, del P.G. e, in futuro, di chi avrà responsabilità direttive, si farà di tutto perché l’amministrazione della Giustizia abbia luogo in una sede dignitosa. Per chi vi opera quotidianamente, ma anche per i cittadini”.
Ci vogliono più magistrati e più operatori nel tribunale, oppure l’organico va bene così com’è per portare avanti tutta la mole di lavoro che c’è?
“L’organico dei magistrati presenta oggi notevoli scoperture (oltre 1.500) cui si sta cercando di far fronte con nuovi concorsi. Probabilmente è anche inadeguato rispetto all’attuale carico di lavoro. Certamente insufficiente è l’organico del personale amministrativo, dal momento che, grazie al blocco del turn-over nella P.A., da molti anni non si fanno assunzioni nel settore della Giustizia. Ai pensionamenti si è, nel frattempo, sopperito (in parte) con la mobilità, ma occorrono forze fresche, occorrono giovani che sappiano portare negli uffici la baldanza e l’entusiasmo proprio dei giovani. Dopo tanti anni è stato bandito un concorso per un migliaio di assistenti giudiziari. È un piccolo passo, ma ancora largamente insufficiente. Altro dovranno farsene necessariamente”.
Il governo non ha esagerato con le depenalizzazioni? Ora non è più reato penale seguire una ragazza e masturbarsi davanti a lei. Cose che accadono a Lecce. Un tempo c’era il carcere o il manicomio.
“L’Italia è un Paese che ha un numero eccessivo di fattispecie penali, sicché quella di depenalizzare gli illeciti minori è una scelta corretta e condivisibile. La scelta di cosa depenalizzare spetta al Parlamento, non ai giudici. Peraltro, al di là dell’esempio fatto, non si può pensare di risolvere ogni cosa col carcere o col manicomio (quest’ultimo già da tempo abolito)”.
La cultura della sicurezza sul lavoro e del rispetto della dignità del lavoratore è assente in troppe aziende, soprattutto nel settore agricolo. Continuano le condanne per vero e proprio schiavismo nei campi, con le vittime rassegnate che quasi difendono i padroni. Siamo tornati indietro di duecento anni? Cosa succede?
“Questa è una questione molto delicata. Purtroppo è vero che quello della sicurezza sul lavoro – e delle conseguenti ‘morti bianche’ che sovente ne derivano – è problema sovente negletto, un po’ da parte di tutti: imprenditori e datori di lavoro, preposti alla vigilanza, spesso anche gli stessi lavoratori. Negli ultimi anni qualcosa si è fatto, grazie anche a nuove leggi e alla compilazione del Testo Unico, ma molto resta ancora da fare, prima di raggiungere standard soddisfacenti, al livello degli altri Paesi d’Europa. Ma cambiare le leggi non basta, occorre anche un ‘salto culturale’ che porti a ritenere essenziale ed indifferibile la sicurezza sul lavoro, la quale va perseguita anche da un punto di vista squisitamente economico, considerati gli alti costi, umani ed economici, che derivano dalla mancata prevenzione. Quanto all’agricoltura, nel nostro Salento, come in altre parti d’Italia, esiste – ed è grave – il problema dello sfruttamento della manodopera, soprattutto (ma non solo) straniera. Sul punto mi permetta di glissare, avendo io, come Presidente della Corte d’Assise, redatto una sentenza in materia. Dico solo che, da diversi anni a questa parte, ormai, per ragioni che travalicano il contingente e affondano le loro radici principalmente nella c.d. economia globalizzata, il lavoro ha visto ridursi considerevolmente le sue tutele ed i lavoratori sono, sempre più, parte debole del rapporto di lavoro. Ad onta di una Costituzione che vuole la nostra Repubblica democratica e “fondata sul lavoro”.
Cosa ne pensa del nuovo disegno di legge sulle intercettazioni? Non diventa più complicato per tutti la dogana a monte delle intercettazioni ritenute inutili?
“Non conosco ancora nei dettagli il nuovo testo. Per quello che ho letto mi pare che aggiunga inutili appesantimenti alla procedura e non risolva il problema di una maggiore tutela della privacy”.
Sono anni che promettono una legge sulla diffamazione attuale e al passo con i tempi, ma la vecchia legge continua a restare un’arma di ricatto, soprattutto nei confronti dei giornalisti precari. Da giudice di lungo corso Lei non crede che questa norma debba essere riscritta? Come la riscriverebbe?
“Con riferimento alla diffamazione a mezzo stampa il problema resta sempre quello di contemperare le esigenze del diritto di informare, proprio della stampa e dei media, con la tutela dei diritti del singolo cittadino di non vedersi ingiustamente infangato. Problema non semplice da risolvere, ma rispetto al quale mi pare che la giurisprudenza, soprattutto quella penale, abbia raggiunto un buon punto di equilibrio. Resta il problema de web, che è, oggettivamente, una giungla e rispetto al quale occorrerebbe, probabilmente, una maggior responsabilizzazione dei social network e l’attribuzione di maggiori poteri, anche interdittivi, all’AGCOM. Quanto ad una possibile riforma, le dico che per me è già difficile fare il Giudice, sicché lascio volentieri il cerino nelle mani del Legislatore”.