Julia Pastore
TUGLIE (LECCE)- “Facciamo muro alla violenza” è lo slogan adoperato in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, nel corso dell’incontro che si è tenuto presso l’”auditorium” della Scuola Media di Tuglie ieri, sabato 25 novembre.
Quale modo migliore per sensibilizzare i ragazzi delle scuole medie ad un tema così delicato, se non attraverso lo sport? Fare squadra vuol dire aiutarsi vicendevolmente, collaborare per essere vincenti insieme, come fa una squadra di pallavolo quando gareggia contro un’altra e “fa muro” per impedire il punto all’avversario. Fare squadra vuol dire instaurare quel dialogo che é tipico del legame che si crea nello spogliatoio e solo col dialogo non si resterà mai soli.
Il convegno è stato organizzato dalla Vicesindaca con delega alla Cultura, Silvia Romano, in sinergia con l’Assessorato allo Sport (Chiara Boellis) e col Direttore sportivo della squadra di pallavolo “Talion Volley”, Pierluigi Ria.
Tra gli ospiti intervistati dagli studenti: l’atleta Paolo Tofoli, uno dei giocatori più importanti della storia della pallavolo italiana (con tre medaglie olimpiche, due campionati mondiali e quattro europei) e Loredana Corvino, ex atleta salentina con 9 campionati di serie A, che ha testimoniato di aver subito un’embrionale forma di “stalking”, dalla quale è riuscita a liberarsi in tempo solo perché ha trovato il coraggio di denunciare presto.
Dopo la proiezione di un cortometraggio dal messaggio molto forte, che ha fatto emozionare fino alle lacrime, la parola è passata al relatore Pierandrea Piccinni, Presidente del Comitato Provinciale della Federazione Pallavolo (FIPAV), che si è fatto portavoce della rassegna “La settimana di Federica”, promossa per sensibilizzare al tema della violenza di genere e per ricordare Federica De Luca (arbitro della provincia di Taranto), tragicamente scomparsa lo scorso anno a seguito dell’omicidio – suicidio avvenuto ad opera del marito e che ha coinvolto anche il figlio. Il Presidente provinciale FIPAV ha evocato il mito dell’anima gemella narrato nel “Simposio” di Platone, secondo cui uomo e donna originariamente erano un’entità sola ed invincibile, finché gli dei, invidiosi della loro perfezione, decisero di dividerli, condannandoli a cercarsi l’un l’altra: <<Questa ricerca che noi facciamo quotidianamente nella nostra vita non deve indurci a considerare l’altra metà come un oggetto di nostra proprietà. Amore è prendersi cura, è donarsi e mettersi a servizio dell’altro>>, ha ricordato Piccinni.
Fra i relatori, fondamentali sono state le parole del Capitano della Compagnia dei Carabinieri di Gallipoli, Francesco Battaglia, e quelle della Psicologa dell’Emergenza, Sara Nocera.
Nell’illustrare che la violenza di genere è fortemente discriminatoria, il Capitano ha esemplificato citando dei casi concreti di mercificazione e possesso della donna, di ieri e di oggi: la donna è stata ammessa al voto in Italia solo nel 1946; la donna può entrare in esercito solo a partire dal 1999; oggi negli spot pubblicitari delle automobili, quasi sempre il veicolo è accostato ad una donna di bell’aspetto, il cui messaggio, subdolo e non tanto criptico, è: “compra questa bella automobile e così ti guadagnerai anche una bella donna”. <<La realtà è che non ci si addormenta bravi ragazzi e ci si sveglia “stalker” o assassini, ma esiste un vero e proprio “ciclo della violenza”. Infatti un rapporto patologico tra un uomo e una donna inizia con piccoli gesti, quasi impercettibili, da quello di voler controllare il cellulare del proprio partner a quello di impedirgli di uscire per conto proprio. Il suggerimento che mi sento di darvi è quello di sfogarvi con chi vi sta vicino, perché quando intervengono le forze dell’ordine purtroppo qualcosa è già successo quindi l’azione deve essere preventiva. Occorre fare leva sulla cultura del rispetto, rispetto che la donna deve anzitutto se stessa: se ha anche solo il sospetto che la relazione che sta vivendo col proprio ragazzo è malata, occorre interromperla. Purtroppo accade che il 50% delle donne che decidono di denunciare il proprio “stalker”, dopo ci ripensano e tornano dal proprio persecutore o si sentono in colpa, minimizzando gli atti di violenza che stanno subendo: “è colpa mia, perché quel giorno avevo la minigonna”. Ma questi ragionamenti non hanno alcun senso: ecco perché il primo passo è sempre quello di sfogarvi con chi vi vuole bene. I casi di violenza sono frequenti; meno frequenti purtroppo sono i casi di denuncia, per timore, vergogna, senso di colpevolezza. Il mio invito è quello di cercare di acquisire la consapevolezza che nessuno può alzarvi la voce: c’è una sfera di intimità in ognuno di noi che nessuno può violare>>.
La dottoressa Nocera, attualmente impegnata nel recente e doloroso caso che ha colpito la famiglia di Noemi Durini, ha spiegato che cosa scatta nella mente di chi uccide una donna: il comportamento violento é solo la punta dell’“iceberg”. Infatti, se è vero che esistono persone con disturbi e psicosi, come gli schizofrenici, è pur vero che tale patologia si verifica solo nell’1% dei casi: al 99% invece si tratta di casi degeneranti, che hanno per protagonisti persone comuni (ed ecco perché nei tg sentiamo sempre dire, da parte dei vicini di casa intervistati, esclamazioni come: “Che strano, era una brava persona!”). Avanzati studi di psicologia e psichiatria hanno evidenziato che quasi sempre chi compie un femminicidio é quell’individuo dalla personalità narcisistica che si relaziona con quella donna che viene definita “dipendente”, la “donna crocerossina”. In una stanza di 100 persone, il narcisista sceglierà sempre la dipendente, dolce e avvolgente, e quando la scelta diventa reciproca, il legame può essere molto pericoloso, perché l’uomo prima attacca e poi chiede scusa sull’uscio di casa della donna, con i fiori in mano, e lei, dolce e premurosa, cede; se invece il narcisista si trovasse di fronte ad una donna con un’altra struttura di personalità, non accadrebbe nulla di efferato. Accorato è stato pertanto il monito della psicologa: <<Ragazze, al primo campanello d’allarme, andate via! Scappate! Non bisogna aspettare che arrivino le percosse: basta anche un atto qualsiasi, che voi sentite prevaricatore nei vostri confronti, come alzare la voce. Nessuno hai il diritto di prevaricarvi. E per “fare muro alla violenza” occorre fare squadra, parlando a chi vi vuole bene, alle associazioni umanitarie e alle forze dell’ordine. Da sole non ce la possiamo fare: la nostra conterranea Noemi ne è stato un duro esempio>>.