F.Oli.
RACALE (Lecce) – Si chiude con sette assoluzioni e un proscioglimento per intervenuta prescrizione il processo a carico degli otto imputati coinvolti in una maxi inchiesta per usura ed estorsioni nei confronti di un imprenditore di Casarano attivo nel settore del calzaturiero. Il verdetto pronunciato dai giudici della prima sezione penale (Presidente Gabriele Perna) è ancora più sorprendente se si considera che il pubblico ministero di udienza Emilio Arnesano aveva chiesto la condanna per tutti gli imputati.
Sul banco degli imputati erano finiti: Dario De Carlo, 53 anni, di Racale, (3 anni); Silvano De Leone, 54, di Racale, (8 anni); Quintino De Lorenzis, 46, di Taviano, (6 anni); Fioravante Corciulo, 70, di Melissano, (6 anni); Fernando Rocco Muscella, 48, di Casarano, (4 anni e 6 mesi); Salvatore De Lorenzis, 47, di Racale, detto “Ciolo”, (6 anni); Piero Gravili, 49, di Racale, Daniele Maregrande, 52, di Taviano, (4 anni per entrambi); Clementina Bruno, 68, di Felline, a fronte di una richiesta di 3 anni. I reati di usura contestati a De Leone, Corciulo, Clementina, Muscella, sono stati annullati per intervenuta prescrizione rilevata l’esclusione dell’aggravante dello stato di bisogno dell’imprenditore vittima dell’usura. Il solo De Carlo è stato assolto per insufficienza di prove. Alcune estorsioni sono state dichiarate inesistenti, altre cancellate dall’intervenuta prescrizione. I giudici hanno anche disposto la revoca della confisca dei beni sequestrati nel corso delle indagini: tre ville, diversi appartamenti e terreni, otto automobili e saldi attivi dei conti bancari per un valore complessivo di circa un milione e mezzo di euro.
Gli accertamenti affondano le radici nel tempo. Risalgono tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000. Nella tenaglia di una banda di presunti strozzini sarebbe finito un imprenditore di Casarano (costituitosi parte civile con l’avvocato Salvatore Abate). Si fa riferimento a presunti prestiti di cifre elevate, 1 miliardo e 331 milioni di vecchie lire corrisposte con interessi a tasso capestro tra il 60 e il 120% annuo. C’è poi il capitolo delle estorsioni, diretta conseguenza, secondo le indagini, dei prestiti usurari. Gli imputati avrebbero minacciato l’imprenditore di saldare facendo espresso riferimento al probabile intervento di persone note negli ambienti della criminalità locale (come Tommaso Montedoro e Attilio Gerundio).
In un altro incontro, nel giugno del 2003, De Leone avrebbe paventato in caso di mancato pagamento l’intervento di alcuni soggetti malavitosi ai quali erano destinate le somme. Da qui l’obbligo dell’imprenditore di versare nelle mani dei suoi presunti strozzini 31 titoli cambiari per complessivi 46mila e 800 euro a fronte di un iniziale prestito di 20mila euro corrisposto tra aprile e maggio del 2002. In una circostanza le minacce sarebbero sfociate in un’aggressione. L’episodio, così come costruito dagli inquirenti, risale al marzo del 2004. In quell’occasione nella sede dell’azienda si sarebbe presentato l’imprenditore Salvatore De Lorenzis spalleggiato da De Leone.
La vittima dei presunti cravattari sarebbe stata colpita con un pugno in faccia e sarebbe stata minacciata se si fosse rivolto ai carabinieri per denunciare l’episodio. In realtà, l’imprenditore non chinò il capo e decise di denunciare i suoi presunti strozzini dando il via ad un’indagine conclusa con una raffica di sequestri disposti dall’Antimafia. Nonostante un quadro accusatorio apparentemente granitico le risultanze processuali sono approdate ad un verdetto che ha ribaltato le richieste della Procura.
Il collegio difensivo, rappresentato dagli avvocati Biagio Palamà, Francesco Fasano, Giovanni Bellisario e Francesco Zompì, ha confutato l’ipotesi di usura evidenziando come i presunti prestiti non sarebbero stati accertati con una doverosa perizia; non sarebbero stati rilevati movimenti bancari e l’importo degli assegni bancari sarebbe risultato notevolmente inferiore. La difesa ha sviluppato anche argomentazioni evidentemente ritenute esaustive anche sui casi delle estorsioni. Non sarebbe stata acquisita la prova certa sulla effettiva responsabilità dei presunti taglieggiatori. Inoltre in aula è stato affrontato il profilo e il comportamento dell’imprenditore. La persona offesa avrebbe deciso di collaborare portando alle estreme conseguenze la sua qualità di vittima per acquisire le prove da fornire all’autorità giudiziaria perchè perfettamente a conoscenza che i suoi spostamenti e le telefonate erano sotto controllo. Da qui , secondo la difesa, la mancanza dell’assoluta certezza che le telefonate di minacce avessero effettivamente sortito l’effetto di incutere il terrore necessario per pagare l’estorsione.