Eroe? No grazie
Non mi piace affrontare certi temi quando si impongono per qualche fatto che balza in cronaca, preferisco attendere che il fatto si allontani nel tempo perché il tema o problema che ne è scaturito possa essere analizzato con più distacco. E qui il tema è “la parola eroe”. Tutte le parole hanno una storia: col tempo si modificano nella fonia, nella grafia, nel significato che veicolano. In particolare quelle che esprimono concetti o idee o addirittura visioni del mondo a volte si svuotano del tutto del significato originale e spesso accade che, abusate, se ne vadano in giro con la fierezza del nulla e ci viene da ridere. Ciò è accaduto, secondo me, con le parole “democrazia”, “giustizia”, “uguaglianza”. Soltanto esempi. Diventano parole che abituano alle bugie, alle mistificazioni. Si pensi ai tribunali, alla scritta “La legge è uguale per tutti”. Viene da ridere. E se si vede che sotto c’è un giudice che svolge il suo compito, allora ci dispiace per lui. Può essere pure convinto, retto, scrupoloso, ma il suo lavoro è all’interno di una grossa bugia.
Ma ci sono parole dalla strana vicenda: sono borderline, al confine tra un onesto mantenimento del significato reale e una fuga verso la più grossolana impostura.
“Eroe” è una di queste.
Il mio primo impatto con la parola “eroe”, borderline, fu in prima media, alla lettura dell’Iliade. Tra gli eroi – per Omero, l’insegnante che spiegava e me che ascoltavo – c’era Ettore, che rischiava la vita in prima linea, che lottava per la sua gente, la difendeva dagli assalitori. Tra gli eroi – sempre secondo Omero e l’insegnante che spiegava, ma non secondo me – c’era pure un tale, Achille, quasi totalmente divino ( già per questo non lo sopportavo ) e quindi quasi totalmente immortale ( figurarsi!), insomma uno che quantomeno era difficile far fuori, che se ne andava in battaglia sicuro che sarebbe tornato a casa; pertanto gli era facile combattere. E questo tale Achille era pure tra gli assalitori, tra coloro che vanno a casa d’altri per rompere le palle. Cioè era uno che accettava di partecipare a guerre di conquista. Non c’è nulla che possa giustificare tale partecipazione; con le guerre di conquista si vuole rubare, depredare, arraffare, togliere, impadronirsi delle cose degli altri. Questo tale non era uno che combatteva per difendere ciò che aveva. Se qualcuno, tra i lettori, sta pensando che gli assaliti – i Troiani – avevano per primi rotto le palle, in quanto avevano portato via “qualcosa”, questo qualcuno non lo voglio tra i lettori, perché a quanto pare per lui, come per quelli che volevano la distruzione di una intera città, la donna sarebbe una cosa.
Dunque Ettore e Achille, Elena, gli Achei e i Troiani per primi mi hanno dato da pensare su di noi, esseri umani, e sulle nostre contraddizioni. Ma con e per la parola eroe, per il suo paradossale oscillare di significato, tra il vero e il falso, ho avuto ancora occasione di pensare.
Il sacrificio di Salvo D’acquisto, vice brigadiere. I tedeschi del settembre 1943 -Torrimpietra, nel Lazio – erano determinati a fucilare per rappresaglia ventidue cittadini. Salvo D’acquisto, dopo aver tentato a lungo e inutilmente di dissuadere il comandante tedesco, si offre come volontario per essere fucilato al posto degli ostaggi. A fronte di Salvo, vero eroe, Ettore svanisce, è un comune soldato, un valoroso combattente, non di più. Figurarsi Achille, che diventa personaggio negativo! Con Salvo D’Acquisto il significato di eroe, eroismo, è così forte, che genera il superamento della dimensione umana. Che uno, da innocente, sacrifichi la sua vita per salvare altri innocenti…Quando mai!
Leggiamo il dizionario (sintetizzo, ed escludo la parola eroe cui segue per ironia o semplice esaltazione, eroe…da poltrona, di cartone, della serata… eccetera). Semidio, che compie imprese eccezionali. ( Caspita, Achille è un eroe!). Chi lotta con coraggio e generosità fino al consapevole sacrificio di sé per un ideale ritenuto giusto. ( E qui ci stanno Ettore e Salvo). Personaggio principale di un’opera (romanzo, film). ( Questa è una differente accezione della parola).
Che coesistano significati così diversi, è proprio, come detto all’inizio, di alcune parole. Questa parola “eroe” si presta però a un uso sconsiderato. Nel recente passato alcuni mercenari furono fucilati una volta prigionieri nel Paese contro il quale erano andati a combattere. Erano di nazionalità italiana. Per i giornali, e per quelli che si lasciano governare dalle letture, questi “soldati di mestiere” erano eroi. Tali soldati, che fanno la guerra come lavoro, per conto di altri, sanno di rischiare la vita. Se rileggiamo la seconda definizione, non ci stanno dentro: è assente nei mercenari la generosità e l’ideale. Ah, giornalisti! Fanno e disfano non solo le notizie, anche le parole.
Tempo fa è diventato eroe uno che ha inveito contro chi forse era il primo responsabile di un dramma che si stava consumando a bordo di una nave di passeggeri. Parlo di Gregorio De Falco, della Capitaneria di Porto di Livorno, che si è incazzato col comandante della nave che andava a picco.
Gregorio De Falco deve essere una brava persona, perché quando ha sentito che giornalisti e reporter si rivolgevano a lui appellandolo “eroe”, si è nuovamente e giustamente incazzato…Eroe al quadrato dunque?