Proseguendo nell’itinerario alla scoperta dei tesori inestimabili della terra salentina, un’altra tappa obbligata è rappresentata dagli stupendi scenari che offre Castro, con la sua caratteristica roccia, costituita da strapiombi di falesie che si tuffano nel mare dai riflessi verdi, con le sue case annidate in una pittoresca insenatura, donando al turista un soggiorno ricco di sorprese.
Castro ha una parte superiore, in cui si trovano importanti vestigia del suo antico splendore, con resti della Cattedrale bizantina, di un maniero cinquecentesco e con i quattro torrioni delle diroccate mura che cingevano la città; poi, lungo la costa vi è Castro marina, con le sue abitazioni raccolte in una caratteristica insenatura.
Sull’origine di Castro le opinioni degli storici sono controverse; alcuni ne attribuiscono la fondazione ai Greci, altri al re cretese Idomeneo, oppure a Japige, a Diomede, o ai Pelasgi. Elevata dai Normanni a sede vescovile e divenuta Contea, Castro ebbe alle sue dipendenze un buon numero di feudi e di casali, fu dotata nel 1171 di una Cattedrale dedicata alla Vergine Annunziata.
Il maniero, vanto di Castro e dei Gattinara, feudatari locali del XVI secolo, venne completamente ricostruito nel 1572 e rinforzato con poderosi baluardi ai quattro lati. Si dovette aspettare il XVIII secolo perché il castello, divenuto residenza dei conti di Lemos e Castro, venisse restaurato.
In questo territorio ricadono molte grotte costiere dai nomi più bizzarri: Zinzulusa, Romanelli, Ritunna (Rotonda), Ritunneddhra (Rotondella), Palummara (Colombaria), delle Striare (Streghe), dell’Acquaviva (nell’omonima insenatura) e tante altre che soltanto i pescatori locali conoscono bene.
Certamente la grotta della “Zinzulusa” è tra le più importanti grotte di Puglia e rappresenta una delle più interessanti manifestazioni del fenomeno carsico nel territorio salentino e pugliese in generale. Si apre sul mare, nel tratto di costa che va da Santa Cesarea Terme a Castro marina, una litoranea dalla grande suggestione paesaggistica. L’accesso alla grotta, oltre che per mare, è anche possibile via terra, grazie ad un sentiero ricavato nel fianco della scarpata costiera. Il nome deriva dalla presenza, al suo interno, di numerose stalattiti e stalagmiti che in vernacolo salentino vengono chiamate “zinzuli”, cioè ‘stracci’, come a voler ricordare quei piccoli brandelli di stoffa. I contadini locali hanno, inoltre, da sempre accostato la grotta con i pipistrelli, che numerosi vi albergano e che in particolari momenti della giornata si riversano verso l’esterno.
Uno dei primi riferimenti storici alla grotta si può ritrovare in una lettera del vescovo di Castro, monsignor Del Duca, che nel 1793 fornì a Ferdinando IV una dettagliata descrizione della cavità carsica. Successivamente, altri studiosi salentini si dedicarono all’esplorazione e allo studio della grotta, tra i quali ricordiamo Brocchi, Botti e De Giorgi. Ma un vero studio scientifico fu effettuato agli inizi del Novecento, in particolare a partire dal 1922 e fino al 1958, quando si iniziò un’intensa opera di raccolta e catalogazione delle specie vegetali ed animali presenti nelle parti più profonde della grotta. Particolare interesse destarono subito la presenza di specie di crostacei di origine molto antica e presenti solo in questa cavità.
Ma l’interesse suscitato dalla grotta Zinzulusa non si limita solo all’aspetto biologico, ma anche a quello storico-artistico, in seguito al rinvenimento di numerosi resti di manufatti, risalenti probabilmente al paleolitico, al neolitico sino a giungere all’epoca romana.
La grotta, che è di natura carsica, ha avuto origine, durante il Pliocene (dai 6 ai 2 milioni di anni fa), dall’erosione dell’acqua sul sottosuolo calcareo salentino. La grotta si articola in tre zone: la prima, parte dall’ingresso e si caratterizza per la grande varietà e quantità di stalattiti e stalagmiti. Vi si può riscontrare la presenza di uno specchio d’acqua dolciastra e limpidissima; nella seconda, la grotta continua con una grande cavità denominata “Duomo”, che risale probabilmente al periodo Cretacico (circa 100 milioni di anni fa); qui il fenomeno dello stalagmitismo comincia ad attenuarsi; nella terza zona, si giunge alla parte finale della grotta, che si contraddistingue per la stratificazione delle acque, salmastre e calde quelle più basse, dolci e fredde quelle più alte.
In periodi più recenti sono stati svolti da scienziati italiani nuovi e più approfonditi studi, che hanno portato alla scoperta di un percorso sommerso e, in particolare, di nuove e sconosciute specie di fauna acquatica preistorica (circa 60), sopravvissuta ai mutamenti climatici susseguenti al Pliocene, estranee alla fauna ipogea italiana e presenti solo in queste cavità con pochi emuli nel mediterraneo.
Ma anche la fauna terrestre, all’interno della grotta, è costituita da specie troglobie e troglofile.
La grotta, inoltre, presenta numerosi resti fossili di uccelli, felini, cervi, elefanti, orsi, ippopotami, rinoceronti, quasi a testimoniare la straordinaria ricchezza e varietà di specie presenti nell’antico Salento, caratterizzato tra l’altro da un clima profondamente diverso da quello odierno.
Gionata Quarta