Un tempo era ricordata come “portam santi Justi“. Un’antica tradizione, probabilmente risalente al ‘500, racconta che quel nome – porta San Giusto – le fu assegnato perché da quel punto uscì Giusto, insieme ad Oronzo, per essere giustiziato dai romani. Dicono che il Santo predicasse in quel luogo per evangelizzare i leccesi. Nell’opera di ricostruzione dell’apparato difensivo della città di Lecce, dovuta all’architetto Giangiacomo dell’Acaya (1500-1570), a questa porta, realizzata nel 1548 per ordine dell’ energico preside della provincia Ferrante Loffredo, marchese di Trevico, spettò il compito di magnificare la grandezza dell’imperatore Carlo V. L’arco trionfale rispecchiava l’efficienza amministrativa e militare attuate in Napoli dal Viceré Pietro di Toledo. Sotto il prezioso stemma l’epigrafe latina reca la seguente dedica:
“All’imperatore Carlo V, trionfatore nelle Indie, nelle Gallie e in Africa; soggiogatore dei cristiani ribelli, sterminatore dei turchi, propagatore della religione cristiana nel mondo attraverso le sue gesta. Al tempo del governo provinciale di Ferrante Loffredo che seppe allontanare dalle coste della Iapigia i turchi nemici dell’impero. Il popolo leccese riconoscente dedica questo arco alla sua grandezza il 1548”
Gian Giacomo dell’Acaya, architetto di fiducia della Corona madrilena, fu attivo in numerose piazzeforti del Mezzogiorno. In Lecce realizzò anche il castello urbano con la poligonale cinta muraria e, unitamente ad altre opere attribuitegli, anche l’ospedale dello Spirito Santo, ricostruito il 1548. Il dell’Acaya morì in Lecce nel 1570 e la sua vita fu funestata dalle dolorose conseguenze di una fideiussione incautamente prestata. Nella Lecce sacra del XVII secolo, mistico luogo di pietà, un ruolo fondamentale fu svolto dai Vescovi. Appena nominati, il loro ingresso in città, varcando l’imponente Porta San Giusto, assumeva, secondo la magnificenza spagnola, le proporzioni dell’evento memorabile. Il Vescovo era solitamente accompagnato da un drappello di soldati, da rappresentanze dell’Università, del Tribunale e da cavalcate di nobili con la popolazione che assisteva delirante. Questo, raccontano le cronache, accadde anche al Vescovo campano Luigi Pappacoda, a capo della diocesi di Lecce dal 1639. Erano gli anni in cui si affermava il talento artistico di Cesare Penna e del suo discepolo Giuseppe Zimbalo, destinato, alla morte del Penna nel 1653, a divenire il più geniale interprete del Barocco leccese. Quello stile, unico nel suo genere, si manifestava, grazie ad una docile pietra dorata, sempre più nelle cappelle, negli altari e nelle facciate delle chiese, fantasticamente parate di festoni di frutta, di foglie di acanto, di Santi e di angeli dal tenero sorriso. Anche le colonne tortili degli altari, ricamate da ghirigori, offrivano tutta la propria magnificenza. Fu il Pappacoda, dal carattere forte e imperioso, ad approvare l’elezione dei Santi Oronzo, Fortunato e Giusto a patroni della città, restaurandone il culto. Nel 1655 riunì il capitolo della Cattedrale e propose di allargare la navata maggiore dell’antico tempio. L’anno dopo, come ci racconta nelle sue memorie l’architetto Giuseppe Cino, nella cronaca del 1656, ” ... fu la peste per tutto il regno di Napoli, fuorchè nella nostra provincia, quale per intercessione di S.Oronzo, nostro protettore, fu preservata e libera; onde in riconoscenza di un tanto benefizio la nostra città fece voto d’innalzare in eterna memoria a sua gloria in mezzo questa nostra Piazza una Colonna di marmo colla sua statua di rame e si condusse una di quelle che stava a Brindisi“. Dopo l’esultanza per lo scampato pericolo, la popolazione intese onorare maggiormente il santo Protettore e volle che la Cattedrale, anche a causa della crescente popolazione, venisse allargata nella navata maggiore. Poichè la demolizione di una parte del tempio poteva risultare pericolosa, si stabilì di costruire una nuova chiesa e si dette l’incarico all’architetto Giuseppe Zimbalo (1620 -1710). Nel dicembre del 1658 incominciarono a scavarsi le fondamenta della nuova chiesa ed il 6 gennaio 1659 fu posta la prima pietra per la costruzione dell’edificio che sarà completato nel 1670. Il campanile, iniziato dallo stesso Zimbalo nel 1661, sarà invece portato a termine il 22 agosto 1682. Il Pappacoda, che governerà la diocesi per 31 anni, inciderà fortemente sull’architettura religiosa della città, sempre più “baluardo della Fede“. Non a caso, tra il 1630 e il 1699, insieme con Napoli e Palermo, Lecce sarà la città più “santificata”. L’Arco di trionfo, l’attuale Porta Napoli, con le sue dimensioni colossali e col suo suggestivo frontone, verrà considerato, unanimamente, come una meraviglia.
Giorgio Mantovano