GALATINA (Lecce) – Nel cuore del Salento, a Galatina, tra le numerose chiese che la rendono attraente per il turista e il pellegrino, richiama l’attenzione la Chiesa di Pietro e Paolo, patroni oltretutto della città.
Una chiesa a pochi passi dal centro storico, completamente restaurata, testimonianza di una memoria storica di notevole spessore.
Nelle vicinanze una piccolissima cappella affascinante e suggestiva per la tradizione che la caratterizza. Si tratta della Cappella di San Paolo, di piccole dimensioni, struttura semplice, meta della devozione popolare e, in particolar modo, delle tarantate.
Secondo una leggenda locale, riportata dal medico leccese Nicola Caputo nell’opera De tarantulae anatome et morsu del 1741, Galatina era una terra protetta da San Paolo, a cui il santo aveva concesso l’immunità dal veleno dei serpenti e degli altri animali velenosi, in particolare la tarantola.
Infatti si narra che San Paolo, durante un suo viaggio di evangelizzazione, sostò a Galatina, ospite di un galatinese, uomo pio, presso un’abitazione che sorgeva nel luogo dell’attuale cappella.
San Paolo, per ringraziare dell’ospitalità, conferì all’uomo e ai suoi discendenti il potere di curare dal morso dei ragni velenosi, le cosiddette tarante nel dialetto del luogo. Bevendo l’acqua del pozzo, situato all’interno della casa e facendo il segno della croce sulla ferita, si poteva guarire dai suoi effetti.
Fu così che alla fine del ‘700 in quello stesso luogo fu costruita una cappella, dove ogni anno il 29 giugno, in occasione della festa del santo, si recavano in pellegrinaggio i tarantolati, accompagnati dai loro famigliari e amici.
In questo giorno si eseguiva un rito esorcistico nei confronti di chi, soprattutto giovani donne, si trovava in stato delirante in seguito al morso della tarantola. Si partiva dalla loro abitazione per giungere alla cappella di San Paolo, dove si invocava, tra canti e preghiere, la grazia del Santo.
La partenza delle tarantate verso la cappella di San Paolo coinvolgeva tutta la comunità. Il paese vestito a festa, «camicia bianca gli uomini, grembiule gallonato le donne, partecipava alla loro partenza con lo spirito di chi le sta devozionalmente accompagnando a Galatina fino ai piedi della statua», precisa Giulietta Livraghi Verdesca Zain.
Il fenomeno del tarantismo ha richiamato l’attenzione di studiosi italiani e stranieri. Dettagliati gli studi sul fenomeno dell’etnologo napoletano Ernesto De Martino, giunto alla fine degli anni ’50 nel Salento con un’ equipe di studiosi per ricerche sul campo, pubblicando i risultati nel noto libro La terra del rimorso del 1961.
De Martino classificò il tarantismo come un fenomeno storico religioso dalle origini medioevali, protrattosi fino al ‘700 e diffuso in tutta la Puglia, in alcune province del Regno di Napoli e nell’area del Mediterraneo.
Una fusione misteriosa di elementi diversi, sacro e profano, mito e rito, malattia e guarigione sono le note caratterizzanti di questo fenomeno oggi ormai del tutto scomparso, ma che non ha perso la sua forza di richiamo verso una terra di fede e devozione, di culti, di colori e suoni ‘pizzicati’, di forte coinvolgimento emotivo. Ed è quasi come se, attraversando in penombra e in silenzio le strade del centro storico galatinese, ad un certo punto un canto affannato e ansimante rompa un equilibrio già instabile. E si ode, nell’immaginario, una voce di donna invocare “Santu Paulu miu de Galatina se ma fare la grazia fammela mprima e nu fare cu lucisca cra’ matina”. Ci si guarda intorno, curiosi e increduli. E si fa un passo indietro…per non essere morsi dalla tarantola, tra fede, devozione e immaginazione.
Manuela Marzo
Per approfondimenti: Livraghi Verdesca Zain G., La partenza delle tarantate verso la cappella di San Paolo a Galatina nel Salento di fine Ottocento, in Spicilegia Sallentina, A. 2013, n. 10, pp. 45-49.