La situazione attuale Mediorientale secondo l’analisi dell’esperto di Geopolitica Antonio Cardigliano
di Mario Claudio De Marco
La “pax israeliana” di cui si discute, in questa riflessione, appare come una volontà tutto sommato, dell’idea imperialista dello stato israeliano e in particolare del suo spirito implicito e subdolo. Israele, dunque altro non vuole che il suo “Geist” domini, sulle correnti di pensiero realmente identitarie che, a parte l’Iran, fanno fatica a sopravvivere e dunque risultando a tutti gli effetti una casta di subalterni.
Di certo se esistessero le basi di un essenzialismo popolare israeliano, la grande Israele non avrebbe bisogno di dimostrare la sua pochezza in un genocidio, candidature riprovevoli al Nobel per la pace e tutte le sue dichiarazioni di stato canaglia.
La “grande” Europa invece vale quanto il due a briscola, minacciata di strangolamento da un 5% sul prodotto interno lordo.
– Israele ha diversi fronti di guerra aperti. Quali e quanti? Con quali interessi?
Israele dall’ottobre 2023 combatte la guerra dei cosiddetti “sette fronti”: Gaza, Cisgiordania, Libano, Iraq (contro le milizie sciite), Siria, Iran, Yemen (contro gli Houthi). I diversi fronti sono l’espressione bellica del progetto israeliano di ridefinizione completa, in proprio favore, degli equilibri geopolitici di tutto il Medio Oriente. Affermarsi come la potenza egemone dell’area, su mandato americano, è l’obiettivo di Tel Aviv. Per farlo, punta alla realizzazione di un piano articolato in tre fasi.
La prima: consolidare il “fronte interno”, obliterando definitivamente ogni velleità palestinese di costituire un soggetto (para) statuale autonomo. Gaza va occupata o perlomeno controllata de facto, la Cisgiordania annessa o ridotta in una pluralità di enclavi (leggi riserve) palestinesi che certifichinol’impossibilità di esercitare una qualche forma di sovranità sul proprio territorio da parte araba.
La seconda: invalidare la postura imperiale iraniana. Dapprima, sconfiggendo i procuratori iraniani, riuniti nel cosiddetto “Asse della Resistenza”, allestito da Teheran attorno ad Israele, negli ultimi due decenni. In questo schema rientrano le azioni di Israele contro Hezbollah in Libano e contro il variegato universo delle milizie sciite in Iraq. Idem per la pressione costante esercitata contro la Siria, guidata fino allo scorso dicembre da Bashar al Assad, asset fondamentale dello schieramento anti-israeliano iraniano. Per ultimo, il confronto contro gli Houthi yemeniti.Sconfitti o pesantemente depotenziati gli agenti iraniani nell’area, Israele è giunto ad attaccare direttamente la “testa dell’idra”,l’Iran. Impedire il possesso dell’arma nucleare non è l’unico intendimento di Tel Aviv. Israele anela al cambio di regime a Teheran: abbattere la Repubblica Islamica in favore di un regime innocuo, magari molto debole, maggiormente impegnato sulla tenuta interna dell’enorme territorio iraniano. Terza fase: chiudere un accordo definitivo con i paesi arabi, con in testa l’Arabia Saudita, tale da garantire una vera e propria “pax israeliana” in Medio Oriente.
– In questi mesi le cronache hanno parlato degli Houti: chi sono? Si è parlato di una guerra di logoramento economico tra gli Stati Uniti e il gruppo yemenita: gli Houthi costituisconoeffettivamente una minaccia così impegnativa per l’egemone? Quali sono le risorse di questa milizia?
Ansar Allah, “i partigiani di Dio”, è il vero nome del movimento armato conosciuto come “Houti”.
Milizia di fede zaidita (corrente dell’Islam sciita) prende il nome dal suo primo comandante, ucciso in battaglia nel 2004, Hussein Badr al-din al-Huthi (il fratello Abdul-Malik, è attualmente a capo del movimento). Filiazione dei Pasdaran iraniani da cui ricevettero addestramento e formazione ideologica negli anni Novanta, a seguito dello scoppio della guerra civile in Yemen nel 2014, hanno assunto il controllo della parte occidentale del paese, compresa la città di Sana’a e il porto strategico di al Hudayda. Da oltre dieci anni combattono ferocemente i resti del governo deposto(appoggiato dalle monarchie del Golfo) che ha posto capitale provvisoria ad Aden.
Terminale meridionale del corridoio imperiale sciita di Teheran, tanto da essere definiti spesso come gli
“Hezbollah yemeniti” in realtà perseguono un’agenda propria, grazie anche alla maggiore distanza geografica e culturale da Teheran rispetto agli altri procuratori iraniani. Agenda autonoma certo ma spesso coincidente o strumentale rispetto ai desiderata iraniani.
Dall’ottobre 2023, contrastano la proiezione offensiva israeliana, cercando di gravare sulle economie occidentali, attraverso la diversione dei flussi marittimi dal corridoio Suez- Mar Rosso- Stretto di Bab al Mandeb, uno dei “colli di bottiglia” tra i più importanti per i flussi commerciali mondiali (in questo punto passano circa il 15 % dei traffici marittimi mondiali e il 40 % di quelli italiani). Gli Houthi, pirati 2.0, con droni e razzi attaccano le navi occidentali e israeliane (non quelle russe, cinesi edemiratine), comportando un aumento dei costi di navigazione e la diminuzione dei flussi, un terribile incubo per chi vive solo di economia come noialtri. Non di rado hanno dimostrato la capacità e la volontà di attaccare, nonostante la distanza, con i missili direttamente il suolo israeliano.
La postura anti-israeliana degli Houthi, sovrastruttura ideologica e propagandistica, nasconde la strategia dei miliziani yemeniti: colpire uno dei centri nevralgici della globalizzazione americana, declinazione marittimo-commerciale dell’impero a stelle e strisce.
Checché ne dica la vulgata politologica, Washington non intende mandare in soffitta la globalizzazione anzi la vuole puntellare, in programma non vi è la dismissione dell’impero, al contrario, consci del rapporto sinallagmatico intercorrente tra impero e globalizzazione, gli Stati Uniti agiscono per permanere l’egemone mondiale. A riprova di ciò la messa in campo di ben due missionidi sicurezza marittima nell’area “infestata” dagli Houthi: Aspides missione aeronavale dell’Unione Europea e Prosperity Guardian, operazione multinazionale direttamente a guidata da Washington.Anche i recenti bombardamenti ordinati da Trump contro le postazioni della milizia zaidita segnalano l’assoluta rilevanza per gli Stati Uniti del mantenimento della libertà di navigazione sui mari, principio reggitore della globalizzazione.
Gli Houthi, alfieri della guerra asimmetrica fatta con l’impiego massiccio di droni e di missili a basso costo (entrambi di progettazione iraniana e componentistica cinese) sono la dimostrazione vivente che delle Forze armate potenti, avanzate,come quelle statunitensi ed occidentali in generale, possono essere messe in serie difficoltà dall’utilizzo di armamenti, assolutamente efficaci ma a basso costo, capaci di logorare le riserve e i bilanci dei ministeri della Difesa, nonchè la scarna capacità produttiva del de-industrializzato Occidente.
– …La Siria e il Libano?
Sono cronaca degli ultimi giorni, gli attacchi israeliani contro i centri di potere e comando siriani a supporto della violenta insorgenza drusa contro le autorità di Damasco.
Immagino siano la plastica dimostrazione della volontà di Tel Aviv di costringere Damasco sul tavolo dei negoziati per definire l’annessione del Golan (importante cuscinetto difensivo per Israele) e la neutralità, disarmata, siriana nei confronti di Israele. Annichilire militarmente e geopoliticamente Damasco è un punto fondamentale del concetto israeliano di “pax” in Medio Oriente.
In Libano, Hezbollah è impegnato principalmente a sopravvivere,gli attacchi subiti da Israele negli scorsi mesi sono stati pesantissimi, la sua dirigenza politico-militare è letteralmente evaporata. Per tale motivo Hezbollah si è astenuto dall’intervenire nel recente conflitto tra Israele e Iran. Il paese dei cedri resta molto fragile, debole e frammentato. Credo che ad Israele vada benissimo così.
– Per quanto riguarda l’Europa e la NATO, dopo l’incontro fra tutti i leader, i giornali, i movimenti politici, studenteschi, ecc… protestano per l’ipotesi di spesa nel settore Difesa fissata al 5% del PIL. Questo comporterebbe un malcontento generale, poiché peserebbe maggiormente sul portafoglio dei cittadini che potrebbero vedersi tagliare i servizi offerti dal proprio Stato sociale. La Spagna si è chiamata fuori da questo scenario, subendo le ire Trump che ha minacciato una valanga di dazi, nel mentre scoppiano degli scandali nel governo Sanchez. L’Italia, che è rappresentata dalla faccia stralunata della nostra premier, non ha evidentemente le risorse per adempiere a questo bilancio. E gli altri paesi? Facciamo chiarezza su questi punti.
Il 5 % del PIL in Difesa di per sé non significa niente. È più che altro un espediente retorico e propagandistico volto a segnalare la pressione statunitense sui membri europei della NATO affinchè essi siano maggiormente coinvolti (soprattutto con il portafoglio) nella propria Difesa e nella conseguente postura geopolitica. Gli Stati Uniti vogliono tagliare i costi di manutenzione e gestione del proprio apparato imperiale, principiando dall’Europa, per concentrarsi nel Pacifico. Da ricordare che nel settore “Difesa” può essere fatto rientrare di tutto, dalle infrastrutture fisiche (ferrovie, ponti, porti, ecc..) a quelle digitali e spaziali (reti satellitari, data center, ecc..). Il cosiddetto uso duale (civile e militare) attiene praticamente a tutta la tecnologia contemporanea. Le alchimie di bilancio sono un prodotto molto noto nelle stanze dei ministeri preposti, non sarei stupito se nei prossimi anni, verranno riproposte per ottemperare a queste nuove esigenze di spesa. Bisogna effettivamente tener conto della “coperta corta” dei bilanci pubblici della gran parte dei Paesi europei, Il recente diniego di Francia e Italia all’acquisto di armamenti statunitensi da inviare all’ Ucraina è in tal senso esemplare.
La polemica attorno all’incremento della spesa nel settore Difesa ben rappresenta la situazione (disperata) in cui giace il paese Italia. Una collettività totalmente immersa nel post-storicismo che continua a meravigliarsi dell’esistenza della guerra nel mondo. La “fine della storia” per noi italiani è realtà assodata da decenni, non esiste altro che l’economia e la qualità della vita, perché quindi spendere in Difesa? Il problema è che tutti i giorni il mondo intero ci dimostra letteralmente il contrario, estraniarsi dalla realtà non impedisce ad essa di investirci con tutta la sua crudezza. Tra l’altro è bene ricordare che le quote di bilancio richieste per la Difesa ricalcano quelle già sostenute dai paesi europei nell’epoca pre-caduta Muro di Berlino, anni in cui sicuramente la situazione del Welfare State in Europa, non era pessima, anzi oserei dire migliore di quella attuale…
Più che un problema economico è un problema (enorme) culturale, sociologico che affligge l’Europa (soprattutto quella occidentale) che ha vissuto beata, negli ultimi tre decenni convinta che il PIL, i mercati, la regolamentazione ambientale, fossero le uniche cose a contare e ad esistere.
Chiudo con la Spagna. Si può definire come un’Italia “al quadrato”, ancor di più immersa nel post-storicismo perché ininfluente a livello geopolitico e totalmente avulsa da ogni professione di realismo. Può permettersi di ergersi a campione dei diritti umanitari perché (purtroppo) nelle dinamiche geopolitiche non contano nulla. Inoltre, la retorica utilizzata può costituire un utile schermo per l’opinione pubblica interna e internazionale, volto a distrarre lo sguardo dai gravi scandali che affliggono la classe politica oggi al governo a Madrid nonché dalle tensioni sociali interne, ben rappresentante dai cruenti scontri intercorsi tra spagnoli e immigrati degli scorsi giorni.