LECCE – Cimici piazzate in carcere, colloqui captati dagli investigatori nel corso degli incontri con i familiari e una serie di dichiarazioni che incastrerebbero i presunti rapinatori nel violento assalto del 6 febbraio quando un conflitto a fuoco tra banditi e carabinieri rischiò di finire in tragedia. I militari del Nucleo Investigativo di Lecce, in un’indagine coordinata dal sostituto procuratore Carmen Ruggiero, hanno raccolto testimonianze in carcere che aggraverebbero la situazione (già complicata) dei quattro arrestati: Alessandro Aprile, 35enne, Antonio Ape, 45 e Fabrizio Maniglia, 46, tutti di San Cesario e Vincenzo De Benedittis, 33, di San Pietro in Lama.
Nel colloquio dell’11 febbraio, Aprile chiede alla moglie dove fosse Maniglia ancora in libertà (verrà arrestato sei giorni dopo).
Alessandro: “Fabrizio non si sta vedendo più”?
Daniela: “No, non lo so…è da quattro giorni, cinque giorni che…”
Alessandro: “Che non torna a casa”
Poco dopo Aprile chiede sempre a sua moglie notizie anche dell’altro complice Antonio Ape chiamandolo così in causa
Alessandro: “E l’Antonio pure se ne è andato da casa?”
Daniela: “Mah non so, cioè di quello non so…”
Giorni dopo sotto controllo, così come richiesto dal sostituto Ruggiero, finisce anche Vincenzo De Benedittis che, il 19 febbraio, nella sala colloqui del carcere di Lecce, molto preoccupato riferisce a sua moglie e ad una sua zia di aver subito intimidazioni per via delle dichiarazioni rese nell’immediatezza dell’arresto alla polizia giudiziaria, ovvero che gli altri due rapinatori, quella sera non ancora rintracciati, erano Maniglia e Ape, circostanza non confermata in sede di interrogatorio per paura di ritorsioni.
Zia: “Ti stanno creando problemi?”
Vincenzo: “(Annuisce con il capo una risposta positiva)”
Zia: “Che problemi ti stanno creando?”
Vincenzo: “Hanno aggiunto parole qui”
Nel dialogo con il fratello, invece, si accerta la responsabilità di Antonio Ape in relazione alla rapina. Il 45enne di San Cesario, infatti, conferma di aver partecipato all’assalto armato nel momento in cui descrive i particolari della Fiat Uno utilizzata per compiere l’assalto noti solo a coloro che quell’auto l’hanno utilizzata, ovvero che risulta mancante del “frutto” di accensione perché asportato: “Sì siamo venuti a prenderla questa macchina, a provarla, poi abbiamo visto che mancava il frutto e non l’abbiamo presa che cosa mi devono dare ricettazione?
Viene anche ricostruita la fuga tra i campi dopo l’inseguimento e il conflitto a fuoco con i carabinieri. Antonio Ape e Fabrizio Maniglia si procurano, nello stesso momento e con identiche modalità, un trauma all’altezza del quadricipite femorale destro (Ape) e quadricipite femorale sinistro (Maniglia).
Ape Antonio: “Ehi a stare seduto, quanto mi fa male!…tutto di qua!…(indicando il punto dell’arto dolente sulla gamba sinistra di suo fratello Giuseppe), ora mi sta scendendo qua, mamma mia!”
Giuseppe Ape: “Pure lui…”
Antonio Ape: “No…lui…lui lo tiene fuori (indica con entrambe le mani la zona dei quadricipiti femorai)…io non tengo niente, ho tutto interno…!”.
Difatti dopo la cattura Ape ha dei cerotti antidolorifici sulla gamba destra mentre Maniglia ha un vistoso ematoma su quella sinistra più o meno alla stessa altezza.
Durante il colloquio del 3 marzo si capta la confessione di Antonio Ape il quale descrive al fratello Giuseppe le fasi della fuga tra i campi dopo che abbandonano la Fiat Uno rubata, al termine dell’inseguimento da parte dei carabinieri, rivelando particolari che consentono di individuare con certezza i luoghi e il punto in cui Ape e il complice Maniglia si procurano le lesioni agli arti inferiori.
Antonio Ape: “La gamba appena sto fermo mi fa male…tengo proprio un infiamo interno”.
Giuseppe Ape: “Che botta hai preso?”
Antonio Ape: “Una catena, una catena…io poi stavo guardando iddhu…arriva Fabrizio…bata pam e si ribalta…sai a du ete? Cu bai a San Donato sulla sinistra ci sono quelle persone che raccolgono sempre le cicorie…sulla sinistra del campo prima della villetta che c’è il muro lungo lungo vi è uno stradone, là…guarda che c’è la catena…”
Il 26 febbraio scorso, poi, si acquisiscono ulteriori elementi di prova. De Benedittis, infatti, afferma di aver avuto una parte attiva nel conflitto a fuoco per aver sparato contro i carabinieri.
De Benedittis: “Perché loro ci hanno sparato a noi? Se loro non avessero sparato noi avremmo sparato…?”
Moglie: “Tramite la perizia dice…”
De Benedittis: “Che abbiamo sparato prima noi?”
Moglie: “Sopra il giornale così c’è scritto”
Benedittis: “Se iddri nu m’erane sparatu io nu l’ia sparati…”
Francesco Oliva