SALENTO – Sono trascorsi 30 anni dal disastro di Chernobyl e il Salento sente il dovere di continuare ad impegnarsi a favore dei bimbi colpiti da questa catastofe. Sono tanti i bambini ucraini arrivati nella nostra terra e che soggiorno in Puglia. Gli aiuti umanitari dedicati a coloro che soffrono a causa delle radiazioni nucleari sono fondamentali, così come l’aria che respirano e il cibo buono che mangiano.
Sono stati comprovati scientificamente, nel lungo tempo, i benefici che ne derivano sia a livello fisico, che a livello psichico, sulla qualità di vita dei piccoli. C’è un popolo dall’altra parte del mondo che sta vivendo un incubo, che sembra non avere fine, e che non lascia spazio a progetti per il futuro a nessuno; ma dalla Puglia arriva un segnale di speranza concreto, grazie alla disponibilità di famiglie che accolgono i bimbi esposti alle radiazioni della centrale nucleare. Per buona parte degli anni novanta ogni centro del Salento ha accolto i bambini di Chernobyl in quelle specie di colonie estive, che servivano a far respirare loro aria buona. Anche se in realtà nel 1987 al Meeting dell’American Nuclear Society è stato testimoniato che in Italia, nei primi due mesi post disastro, la dose individuale media di radioattività assorbita dai cittadini oscillasse dai 90 ai 500 microSiviert (mSv), corrisponde dalle 4 alle 25 radiografie inutili al torace, con relativa esposizione radioattiva.
E come spesso avviene, in occasione di un anniversario, si risveglia l’attenzione su un tema dimenticato. Il mondo torna a posare gli occhi su Chernobyl, teatro di una delle tragedie nucleari, che ha cambiato il corso della storia dell’umanità e per qualche giorno ci si chiede: 30 anni dopo, che succede là dove è avvenuto uno dei più gravi disastri nucleari della storia? L’incidente nel 1986, un incubo che è rimasto nella memoria. Sabato 26 aprile 1986, nel nord dell’Ucraina, un test del reattore numero 4 della centrale di Chernobyl andò fuori controllo e causò il più grave incidente della storia del nucleare civile. La nube radioattiva si spostò, così, velocemente da Chernobyl verso gran parte dell’Europa, portando il disastro radioattivo su tutta l’Italia, Salento compreso. Infatti, la nube tossica che si è sprigionata il 26 aprile del 1986 ha stazionato sulla Puglia meridionale per una settimana intera, dal 2 al 9 maggio, con il picco di concentrazione nel leccese il 4 maggio.
Solo il 27 aprile, 36 ore dopo l’incidente, furono evacuati i 45 mila abitanti di Pripyat, la cittadina più vicina a Chernobyl. L’allarme in Europa giunse dalla Svezia il 28 aprile, quando venne registrata radioattività anomale nel Paese. Ma da Mosca l’ammissione del disastro, arrivò solo il 14 maggio da parte del segretario dell’allora partito comunista sovietico Mikhail Gorbaciov. A trent’anni da qual disastro, gli scienziati affermano che non esistono ancora studi affidabili che valutino con precisione l’impatto di quella nube radioattiva e i rischi per la salute, ora e negli anni a venire. Ma l’incidente nell’allora Repubblica Sovietica è considerato ancora dagli esperti il più grave per la velocità, entità della fuga del materiale radioattivo e gli effetti sulla salute e sull’ambiente nell’area.
È stata fatta una perizia, svolta dai consulenti tecnici nominati dalla procura di Lecce, per accertare se, nella zona di Torre Veneri, Frigole ci fossero tracce di Uranio impoverito. Gli accertamenti lo hanno escluso, ma è stata riscontrata, limitatamente alle sabbie la presenza di cesio 137 proveniente dalle ricadute dei test nucleari condotti negli anni 60 e dall’incidente di Chernobyl. Ciò che oggi rimane più impresso di Chernobyl sono le izbe della “exclusion zone”, casette senza più abitanti. Rappresenta l’immagine simbolo di un luogo “liberato” dalla presenza umana, su cui la natura ha preso il sopravvento. Una riserva unica al mondo, macchiata però dal mostro invisibile delle radiazioni. L’esplosione del reattore e l’incendio nucleare scoppiato il 26 aprile 1986 alla centrale di Chernobyl, provocarono più superstiti che vittime.
Nelle settimane successive furono 31 i lavoratori della centrale e i pompieri uccisi dalle radiazioni. Ma sono decine di migliaia le persone che si ammalarono in seguito. Non c’è un modo per stabilire con certezza, negli anni, la responsabilità di morti e malattie legate a Chernobyl. Anche se intorno alla centrale esplosa, oppure tra le strade spettrali di Pripyat, i tassi di radioattività variano tantissimo. Aumentano precipitosamente scavando nel terreno. Secondo l’agenzia internazionale per l’energia atomica, l’esplosione portò la contaminazione più elevata in un’area nel raggio di 100 chilometri dalla centrale, con la concentrazione maggiore di isotopi di stronzio cesio e plutonio.
A ogni anniversario si moltiplicano i rapporti scientifici, che cercano di quantificare l’impatto dell’esposizione alla polvere radioattiva analizzando l’aumento dei casi di tumori alla tiroide tra i bambini, il calo demografico e l’infertilità delle donne, le malformazioni genetiche. Ed infatti ancora oggi, dopo 30 anni dal disastro di Chernobyl, ai confini della sua “zona di esclusione” si vende del latte che supera di 10 volte i limiti di isotopi radioattivi fissati dalla sicurezza alimentare ucraina, come rivela in una inchiesta l’Associated Press.
Clarissa Rizzo