di Gaetano Gorgoni
LECCE – Da quando sono nato ascolto, durante le elezioni, le promesse della politica per una giustizia più celere, che possa dare risposte a tutti. Ma tutto va nel senso opposto da anni. Mi chiedo se il problema sia risolvibile con l’immissione del 50 per cento in più dei giudici, ma in un Paese in crisi è impossibile. Ci sono diverse strade da seguire: nuove tecnologie che velocizzino i processi, depenalizzazione dei reati minori (in questo campo qualcosa si è fatto), sburocratizzazione e blocco delle denunce “deboli” o pretestuose. Ed è proprio di quest’ultimo punto che voglio parlarvi oggi. Forse l’aumento sproporzionato per una piccola provincia di chi vuole esercitare la professione forense sta facendo aumentare vertiginosamente la litigiosità nei tribunali. La cosa vergognosa, che continua a impantanare la Giustizia, è l’ostinata ricerca di vendetta da parte di chi, pur non avendo ragione, cerca di intimidire o comunque di far spendere i soldi ai giornalisti che fanno il proprio dovere.
Del resto, ogni denuncia significa tempo perso e soldi per gli avvocati a cui ci si rivolge. Noi ringraziamo il validissimo legale Riccardo Rodelli, che anche questa volta è riuscito a smontare una denuncia per diffamazione priva di fondamento. Le regole deontologiche impongono di dare una notizia quando è vera, di interesse pubblico e scritta secondo i principi della continenza. Ma ancora una volta è accaduto di aver dato una notizia costruita secondo i sacri crismi del giornalismo e di essere stati sottoposti alle indagini giudiziarie ugualmente. Una denuncia rivolta a me, che sono il direttore responsabile del Corrieresalentino, mirava a farmi condannare penalmente. Non è la prima volta. Sono stato denunciato 6 volte in 20 anni e tutte le volte i miei detrattori sono rimasti a bocca asciutta. Però non si può andare avanti così. I cialtroni della politica avevano promesso di depenalizzare la diffamazione, ma hanno preferito tenere in mano un’arma di ricatto verso una categoria già stravolta da precariato e impoverimento economico.
A denunciarmi questa volta un certo Giuseppe Bondì: uno sconosciutissimo (per me) consigliere comunale, ex presidente del Consiglio Comunale di Galatone, che ha impugnato perfino la richiesta di archiviazione proposta dal pm. Un accanimento insensato, calcolando che la notizia che riguardava un’indagine nei suoi confronti non ero stato io a darla, ma il responsabile della giudiziaria, che si era firmato e che ha un accesso autonomo al sito (essendo caporedattore del suo settore). La cosa sconvolgente è che il signor Bondì non ha mai cercato di contattarmi per una rettifica o per lamentarsi con me. La mia disponibilità è notoria in questo casi (conoscendo molto bene la normativa sul diritto di rettifica). Il politico locale in questione sembrava più interessato a farmi condannare a norma del 596 bis codice penale. Come mai tanto zelo nel denunciare proprio chi non aveva messo la firma sull’articolo? “Mi avrà confuso per qualcun altro?” – mi sono chiesto. Ma gli è andata male. “Se il delitto di diffamazione è commesso col mezzo della stampa, le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche al direttore o vicedirettore responsabile, all’editore e allo stampatore, per i reati preveduti negli articoli 57, 57bis e 58” – recita l’articolo 596 bis c.p. in base al quale l’accusa cercava di farmi processare.
Per fortuna a Lecce abbiamo una magistratura competente e ligia al dovere: il pm ha formulato la richiesta dell’archiviazione e il gip Edoardo D’Ambrosio ha confermato. Ma chi pagherà tutto il tempo che hanno perduto in tribunale per una denuncia che non sarebbe mai dovuta partire? Chi pagherà per il tempo che ho perduto io e il mio avvocato? E la benzina per andare due volte alla stazione di polizia di Nardò e nei tribunali. Chi paga, caro politico locale? Chi paga cari parlamentari, che tenete ancora in piedi una legge degli anni ‘40? Per quanto dobbiamo subire ancora noi, che per guadagnare uno stipendio dobbiamo sudare per tutto il giorno? Oggi non è reato penale mettersi i genitali di fuori e spaventare le ragazze di notte (è successo più volte a Lecce). Però ti fai un processo penale se non sei stato troppo “continente” nel tuo articolo (magari perché sei incazzato nero con questo Paese a misura di furbi!), grazie ai quaquaraquà che abbiamo in Parlamento.
“Non può rispondere del reato di diffamazione aggravata non essendoci la prova di un concorso – ricorda il giudice – (giacché il direttore risponde solo di culpa in vigilando ndr), quando non si accorda con l’autore dell’articolo”. Ma c’è di più: non si può esser chiamati a rispondere di omesso controllo ex art. 57 c.p. perché il giornale on-line funziona diversamente dalla stampa periodica (nel nostro caso la redazione è addirittura virtuale e ognuno dei responsabili dei vari settori immette gli articoli direttamente, anche la notte, senza alcun controllo, che al massimo arriva dopo). Ad ogni modo, il legislatore non ha mai esteso esplicitamente la materia della responsabilità colposa (omissione di controllo) del direttore, che vige per la stampa, anche al web. Nel diritto penale ciò che non è scritto non si può estendere per analogia a casi non regolati. Inoltre, dulcis in fundo, non si ravvisa nemmeno il reato di diffamazione, essendo stati rispettati nell’articolo in questione i criteri della veridicità, interesse pubblico e continenza (esposizione civile, non sopra le righe e non subdola), che la sentenza decalogo della Cassazione (1984) ha posto come pilastri del buon giornalismo.
“Il giornalista – spiega il giudice del Tribunale penale di Lecce – si è limitato a riportare quanto appreso dalla polizia giudiziaria e da altre fonti sulla vicenda “e cioè che l’odierno opponente (all’archiviazione ndr) fosse stato denunciato per una condotta di falso in relazione a una pratica edilizia e in relazione alla sua attività professionale di geometra; notizia di pubblico interesse per la carica ricoperta dal medesimo”. Quindi, emerge una denuncia senza alcun presupposto che possa far rilevare un reato diffamatorio. Il giudice puntualizza che quando una notizia è vera si può tutt’al più contestare la pubblicazione di una notizia coperta da segreto, ma non al direttore, bensì all’autore del reato. In questo caso si trattava di una notizia già di pubblico dominio (precedentemente pubblicata sulla stampa), che interessava la politica locale, visto che riguardava un’istituzione comunale.
Tutto è finito in archiviazione: la bolla di sapone è esplosa. È vero, abbiamo contribuito tutti a far crescere il PIL con benzina, giudici impegnati in stupidaggini (come se non bastasse tutta l’enorme mole di lavoro con cui devono confrontarsi ogni giorno!), avvocati operativi e spese burocratiche varie, ma così non va! È tempo che il legislatore superi la sua atrofia e punisca con risarcimenti pesanti tutte le denunce per diffamazione pretestuose o, comunque, prive di elementi certi. Insomma, è tempo che gli “adagiati” in Parlamento e gli “onorevoli balla” vari facciano una legge al passo con i tempi e, magari, depenalizzino un reato che negli anni passati serviva a imbavagliare le stampa. Esiste un ordine dei giornalisti che può punire chi sbaglia ed esiste il risarcimento del danno per i diffamatori. Basta intasare i tribunali penali!