Le élite liberali e i fanatici del globalismo stanno estinguendosi. Un po’ come accadde nell’Unione Sovietica prima del crollo del muro di Berlino, quando il potere era a Mosca, nelle mani del Partito Comunista, che controllava ancora tutto, mentre il regime era ormai agonizzante.
Oggi ci troviamo nella stessa identica situazione con il dominio globale delle élite pseudo liberali, le quali controllano ancora tutto, ma sono nella fase terminale.Scompariranno alla stessa velocità del comunismo nell’Europa orientale.
La mobilitazione anti-populista, che attraversa il pianeta, dalla Russia di Putin, alla Siria di Assad, dalla Cina di Xi Jinping, all’Iran di Hassan Rouhani e all’Italia di Salvini, promossa dai Macron, dai Soros, dai Rothschild e finanche dai Clinton e da tutti quelli che vogliono la morte del nazionalismo e del patriottismo, finalmente e fortunatamente, dà segni di cedimento.
Le potenti oligarchie sono al capolinea: i loro giorni sono contati perché il popolo è stanco e, forse, si è risvegliato. Ciò non significa che il futuro sarà certamente antieuropeista, ma di certo non saranno le èlite globaliste a determinarlo. Ma bisogna stare attenti: potrebbe essere la vittoria di Pirro; negli ultimi anni siamo stati talmente impegnati nella lotta contro il Leviatano globalista, enorme e potente, che rischiamo di non essere in grado di aggiogarlo, non avendo avuto il tempo di guardare oltre.
Ma l’Ungheria di Orban è un ottimo punto di riferimento. Il Presidente magiaro è stato chiaro quando il tedesco Weber lo ha minacciato di espellerlo dal Ppe per non aver chiesto scusa a Soros e per non avere alcuna voglia di fermare la campagna anti-UE: “Non cederemo su nulla” ha affermato Orban, “La difesa dei valori europei e cristiani e lo stop all’immigrazione di massa sono più importanti per noi della disciplina di partito nel Ppe”. Finalmente un Presidente serio, un Presidente che interpreta la volontà del suo popolo. Un populista? Chiamatelo come volete, ma in Italia, nell’ultimo decennio, è sempre accaduto il contrario. Quello che hanno fatto i politici è stato pensare alle poltrone e ad una legge che gliele assicurasse. Privilegi e strafottenza, mentre il Regno Unito pensava alla Brexit, Orban ridava il giusto valore al nazionalismo e perfino i francesi scendevano in piazza.
Ora anche in Italia pare che sia giunto il momento della resa dei conti, ma il problema resta il Governo. Non si capisce da che parte vuole stare, o meglio, i partiti che lo compongono non possono stare tutt’e due dalla stessa. Russia o Stati Uniti? O entrambi? L’Italia giallo-verde è divisa fra Mosca e Washington. Di Maio alleato di Putin, ma aperto anche agli USA; Salvini alleato di Trump, ma aperto anche alla Russia. La Lega, pur essendo in una posizione di vantaggio, si trova a dover gestire una diplomazia che guarda agli USA pur dimostrando interesse per i vincoli strategici fra Italia e Russia. Ma il furbo Trump ha chiesto rassicurazioni sulle questioni gas e trivelle facendo capire che gli USA sarebbero grati all’Italia. In caso contrario, invece, l’amministrazione Trump e i grandi investitori americani potrebbero negare il loro sostegno ad un futuro governo guidato dalla Lega. Ecco perché Salvini ha “mitigato” le dichiarazioni a sostegno della Russia cercando di sembrare più vicino al pensiero americano piuttosto che a quello sovietico. Il povero Di Maio fa lo stesso. Andrà a trovare il vicepresidente statunitense Mike Pence, probabilmente per verificare quanto gli americani siano nervosi nei confronti del Movimento 5 Stelle per la questione venezuelana e la contrapposizione al gasdotto Tap. Nel frattempo Fico è andato a Mosca per dichiarare che “l’Italia e l’UE contano in particolare sul determinante contributo della Russia per la risoluzione delle più gravi crisi in atto”. In pratica, un segnale di apertura nei confronti di Vladimir Putin che non è passato inosservato.
Insomma, questi diversi atteggiamenti rendono evidente la volontà dell’attuale Governo di collaborare con le due potenze che si contrappongono all’Unione europea: la Russia e gli Stati Uniti. Ciò, da un lato, giova all’Italia in questo particolare momento di isolamento europeo, dall’altro, la diversa “propensione” per l’una o per l’altra potenza, da parte dei due partiti al Governo, potrebbe creare un’ulteriore spaccatura all’interno della maggioranza. Il problema è che prima o poi una delle due potrebbe presentarci il conto che, puntualmente, gli italiani dovrebbero pagare.
Ma se volete sapere come la penso…… ve lo dico. I nostri amici politici stanno trascurando la Cina.
Con i soldi della Banca Asiatica d’Investimento il presidente cinese Xi Jinping punta a conquistare l’Africa, dove sta già facendo un buon lavoro, e l’Europa. Il capitale in ballo è di 100 miliardi di dollari. L’Italia si dovrebbe preparare a sostenere il colossale progetto infrastrutturale denominato la “Nuova Via della Seta”, anche se le critiche non le sono risparmiate, anzi si sprecano: dall’Europa agli Stati Uniti e alla Russia si invoca il pericolo di un rafforzamento cinese nei settori strategici dell’energia, dell’acqua, dei trasporti e militare. Tutto vero, ma riflettiamo un attimo!
Il nostro Paese ha solo lo 0,75% di investimenti cinesi diretti in rapporto al Pil (ben al di sotto di molti Paesi europei e della GB) e una scelta del genere avrebbe come conseguenza diretta un incremento di tali investimenti e, di conseguenza, l’incremento delle esportazioni in Cina. E non dite che in questo momento l’Italia non ne ha davvero bisogno. Appoggiando il progetto cinese l’Italia recupererebbe la sua posizione centralista del Mediterraneo negli scambi internazionali persa da secoli potendo rilanciare i porti.
In altri termini, l’Italia verrebbe fuori dall’isolamento europeo che sta vivendo e riacquisterebbe quel ruolo centrale nelle relazioni globali che è nelle corde della sua diplomazia e della sua geopolitica. Che bello sarebbe. Basta un po’ di coraggio e … la rottura degli schemi. Facciamolo!
Flavio Carlino