di F.Oli.
CASARANO (Lecce) – Intimidazioni, regolamenti di conti, propositi omicidiari all’ombra di un clan che quando non usava il guanto di velluto sapeva usare il pugno di ferro. Il tutto sigillato dal droga business, benzina con cui girava veloce il motore dell’organizzazione con roccaforte il comune di Casarano smantellata nel maggio del 2017 con l’operazione “Diarchia”. Centovent’anni di carcere, 12 condanne, i reati associativi confermati e il boss redento Tommaso Montedoro assolto (per non aver commesso il fatto) dall’accusa di essere il mandante del tentato omicidio di Luigi Spennato. A margine, assoluzioni da alcuni capi d’imputazione per reati minori. È questo l’esito del processo di primo grado concluso con il giudizio abbreviato davanti al gup Cinzia Vergine che, di fatto, certifica l’esistenza di un sodalizio mafioso così come ricostruito dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Lecce che hanno coordinato le indagini e dal procuratore aggiunto Guglielmo Cataldi (affiancato dal collega della Procura ordinaria Massimiliano Carducci) nel corso del processo.
Dodici condanne, dunque, in un dispositivo che recita: 15 anni e 4 mesi per Tommaso Montedoro, 42enne di Casarano, con il riconoscimento delle due attenuanti relative all’associazione mafiosa che quella finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti; (richiesta di 16 anni); 20 anni per Luca Del Genio, 27enne, di Casarano (20 anni) così come per il cugino Antonio Andrea Del Genio, di 33, entrambi di Casarano (18 anni) e ritenuti gli esecutori materiali del tentato omicidio di Luigi Spennato; 12 anni e 8 mesi per Giuseppe Corrado, 46enne, di Ruffano (17 anni) e per Damiano Cosimo Autunno, 52enne, di Matino (17 anni); 10 anni per Ivan Caraccio, 33 anni, di Casarano (16 anni); 8 anni e 8 mesi per Lucio Sarcinella, di 25, residente sempre a Casarano (a fronte di una richiesta di 9 anni); 8 anni per il 43enne Marco Petracca, di Casarano (7 anni e 6 mesi); 7 anni e 4 mesi per Domiria Lucia Marsano, 42 anni, residente a Lecce, (8 anni); 7 anni per Maurizio Provenzano, 47 anni, anch’egli di Lecce, (14 anni); 2 anni ed 8 mesi per Sabin Braho, 36enne nato a Durazzo, ma residente a Brindisi (7 anni), assolto da due episodi di spaccio e per il quale il giudice ha considerato il minimo della pena edittale non più di 8 ma di 6 anni adeguandosi ad una recente sentenza della Corte Costituzionale in materia di spaccio di droghe pesanti così come evidenziato in una memoria difensiva depositata dall’avvocato Elvia Belmonte. Infine: 1 anno, 1 mese e 10 giorni per Salvatore Carmelo Crusafio, 45enne nato in Svizzera, ma residente a Matino (richiesta di 4 anni), difeso dall’avvocato Ladislao Massari. Il lungo e articolato dispositivo contempla anche un risarcimento dei danni da quantificarsi in separata sede per il Comune di Casarano costituitosi parte civile con l’avvocato Francesco Vergine per i danni d’immagine che una simile inchiesta ha comunque arrecato su un comune che, da tempo, cerca di affrancarsi dai fantasmi del passato riaffiorati prepotentemente nell’ottobre del 2016 quando il boss Augustino Potenza venne ucciso a colpi di kalashnikov nello spiazzo di un centro commerciale.
E proprio da quel delitto eccellente (di cui ancora non si conoscono i nomi di mandanti ed esecutori) sono partite le indagini. Dopo la morte di Augustino Potenza la “diarchia” (termine greco con cui si intende un sistema di governo in cui due persone, o due soggetti giuridici, esercitano lo stesso potere) sarebbe scomparsa e sostituita da un comando unico. Tommaso Montedoro, nonostante si trovasse ai domiciliari in provincia di La Spezia, sarebbe riuscito ad assumere il comando, costituendo una consorteria criminale del tutto indipendente dopo la rottura del patto di sangue con l’ex fedelissimo ucciso a Casarano il 26 ottobre 2016. Un mese dopo le strade di Casarano tornarono a insanguinarsi con l’agguato di Luigi Spennato, rimasto fedele a Potenza. Sventò la pioggia di fuoco ma ora è cieco e si muove su una sedia a rotelle. Quel tentato omicidio, però, stando alle risultanze processuali, non sarebbe stato ordinato da Montedoro e sarebbe stato compiuto dai cugini Luca e Antonio Andrea Del Genio, nonostante il pentito abbia poi “scagionato” quest’ultimo e fornito a investigatori e inquirenti altri nomi.
Il clan aveva pianificato un altro omicidio da compiere con uno dei riti più violenti e tribali del codice mafioso: la tecnica della “lupara bianca”. Nel mirino era finito Ivan Caraccio. Il giovane doveva essere ammazzato. Parlava troppo. È stato salvato dai carabinieri che hanno giocato d’anticipo arrestandolo con qualche grammo di cocaina. I militari hanno seguito il flusso delle comunicazioni intercettando ogni dialogo dei presunti componenti del sodalizio che si è rivelato una inconsapevole confessione. Dopo i fermi e l’operazione dei carabinieri è arrivato un altro terremoto. Una slavina negli ambienti della malavita. Il pentimento del capo, ufficializzato quest’estate, ha di fatto inchiodato molti degli attuali imputati finiti alla sbarra.
Montedoro ha ripercorso la gestione degli affari illeciti e dei fatti di sangue della zona di Casarano precisando di non aver mai fatto parte della Sacra Corona Unita. Ha parlato anche dell’omicidio del suo ex compagno di scorribande, Augustino Potenza negando di aver mai avuto alcuna responsabilità, addossando le colpe su Andrea Toma e Ivan Caraccio. Proprio quest’ultimo, ritenuto inaffidabile perché solito fare uso di stupefacenti e sostanze alcoliche, doveva essere ucciso. Ma i carabinieri, come detto, hanno bloccato altri spargimenti di sangue decapitando un clan messo alle corde e ulteriormente scompaginato dalla decisione del suo reggente di pentirsi.
Le condanne, almeno di primo grado, chiudono così un lungo capitolo di sangue, vendette e ritorsioni che hanno rischiato di gettare nuovamente Casarano e il circondario nella cappa della paura e del terrore. Per conoscere il deposito della motivazioni bisognerà attendere i prossimi 90 giorni. Subito dopo il collegio difensivo completato dagli avvocati Mario Coppola, Giuseppe Corleto, Simone Viva, Antonio Venneri, Sergio Luceri, Luigi Rella, Biagio Palamà potrà impugnare la sentenza in Appello. Un solo imputato, invece, dovrebbe patteggiare. Si tratta di Andrea Cecere, 37enne di Nardò, (difeso dall’avvocato Giuseppe Bonsegna) che il 21 maggio comparirà sempre davanti allo stesso giudice Cinzia Vergine.