LECCE – A proposito di Piano Comunale delle Coste e di Marine ricadenti nel territorio amministrativo di Lecce, essendo argomento di interesse e di recenti dibattiti, il geologo Stefano Margiotta, che ha lavorato come tecnico alla pianificazione, ha condiviso alcuni risultati e considerazioni scaturite dagli studi che ha condotto.
“Anzitutto preciso di aver ricevuto incarico dall’Amministrazione comunale nel gennaio 2018 – puntualizza l’esperto – Questa precisazione è importante in quanto il piano delle coste era stato avviato già diversi anni prima e la necessità di studi geologici, come di altri peraltro, era emersa a seguito dei pareri raccolti dal piano durante le fasi alle quali lo stesso era stato sottoposto, con particolare riferimento al processo di valutazione ambientale strategica.
Gli studi condotti sono stati rivolti alla definizione dello stato di salute della costa attraverso puntuali rilevamenti, individuazione delle criticità (dei meccanismi che inducono tali criticità e dei fattori di disturbo) e delle valenze nonché delle relazioni esistenti tra la linea di costa e l’immediato entroterra con particolare riferimento al costruito. Inoltre, sulla base dei risultati di cui sopra sono state individuate delle azioni che, se messe in atto, porterebbero benefici alla costa stessa e sono state messe le basi per aggiornare continuamente il sistema delle conoscenze attraverso la redazione del piano di monitoraggio e la realizzazione di una carta della resilienza all’erosione stessa.
Gli studi condotti hanno evidenziato una generale grave situazione di erosione costiera! Questa erosione è riconducibile sia all’avanzata marina ma in più aree è connessa anche all’uso scriteriato che si è fatto per decenni dell’ambiente costiero. Di per sé, infatti, l’avanzata del mare in un ambiente precedentemente emerso non costituisce grave danno se questo ambiente è libero di migrare nell’entroterra cosa che nelle marine leccesi non può realizzarsi quasi in alcun luogo per la presenza di elementi antropici come strade e costruzioni che rendono rigido il sistema. Risultato è che in più luoghi strade e case (Foto sopra e giù), costruite anche sbancando dune o direttamente sul litorale (peraltro alcune poggiando su suoli argillosi torbosi nerastri di scadentissime proprietà fisico meccaniche, particolare di foto 2), si trovano oggi letteralmente in acqua.
In questi casi, sia ben chiaro, non è l’erosione costiera la causa dello stato dei luoghi, ma lo stato dei luoghi è tra le principali cause dell’erosione giacché la duna costituisce la prima difesa dell’ambiente costiero all’avanzata del mare ed il suo smantellamento ne facilita l’ingressione. Altre diffuse situazioni di erosione legata all’intervento dell’uomo sono quelle connesse agli accessi al mare. Quasi ovunque, dove è presente una strada che conduce al mare, la duna è stata completamente smantellata anche per tratti di decine di metri con il risultato che la sabbia si infila negli spazi vuoti e si arresta nell’entroterra costituendo dune a ridosso di case o riempiendo le depressioni palustri retrostanti (carta del 1915), come testimoniano le foto, l’area oggi occupata come parcheggi estivi (e sede di allagamenti anche qui alle prime piogge e/o mareggiate) a torre rinalda, un tempo sede del lago fiumicelli, che si potrebbe rinaturalizzare).
In altri casi ampi varchi nel cordone dunale sono stati realizzati allo scopo di permettere il deflusso delle acque meteoriche che ricadono su marine che, essendo costruite in corrispondenza di originarie depressioni palustri, si allagano alla prima pioggia. Il risultato spesso è esattamente l’opposto di quello sperato perché alle prime mareggiate il mare invade le zone dell’entroterra attraverso i varchi costruiti artificialmente (foto).
In poche parole una situazione di grave degrado. In questa situazione hanno lavorato anche gli stabilimenti balneari, alcuni nel rispetto dell’ambiente costiero, altri, in condizioni che non sono più sostenibili dall’ambiente costiero stesso. Prendo ad esempio di una situazione non sostenibile (al di la delle classificazioni normative) quella di uno stabilimento posto, sicuramente legittimamente, in San Cataldo, ubicato dove al contrario dovrebbe esserci un cordone dunale che in quel tratto risulta assente per oltre 50m. L’assenza del cordone fa si che la sabbia si infiltri attraverso gli spazi vuoti lasciati dalle strutture del lido e migri sulla strada per arrestarsi in corrispondenza della duna alta anche oltre 3 m che margina, purtroppo inutilmente, la strada stessa nell’entroterra.
Sono sicuro che il presidente di Federbalneari, che peraltro gestisce lo stabilimento attiguo e si propone come sentinella, si è accorto che questo squarcio nel cordone dunale genera perdita di sabbia e quindi erosione (in un contesto peraltro già caratterizzato da opere a mare di cui si palesa l’inefficacia laddove anche il sistema a terra non sia adeguatamente protetto e rinaturalizzato). Quel sito quindi oggi si presta ad una ricucitura del cordone dunale e non ad una concessione di stabilimento (al di la delle perimetrazioni normative). Questa situazione è abbastanza comune e osservabile ad esempio, in corrispondenza di Torre Chianca dove abbiamo dune alte oltre 4 m che fronteggiano la strada o altre che si formano di inverno sui lidi stessi, salvo poi essere ovviamente rimosse nella stagione estiva.
In poche parole una marea di sabbia che si perde non a causa delle mareggiate (mi scuso per il gioco di parole) ma per motivi antropici. In entrambi i casi (San Cataldo e Torre Chianca), poiché ritengo sia opportuno essere propositivi e non distruttivi, nella mia relazione ipotizzo una nuova destinazione delle aree suddette prevedendo la possibilità che i servizi indietreggino sulle aree oggi occupate dalla strada che andrebbe rinaturalizzata (foto 10 dalla mia relazione).

L’amministrazione che uscirà vincente dalle urne dovrà quindi necessariamente risolvere alcuni problemi che sono improcrastinabili come la disciplina degli accessi al mare, la realizzazione di aree a parcheggio, la risoluzione del problema degli allagamenti, la ricucitura, dove possibile, dei cordoni dunali smantellati e la rinaturalizzazione degli spazi costieri ma anche altri, altrettanto importanti, che affliggono le marine e che devono trovare una soluzione: la mancanza di rete fognante nera il che facilita il proliferare di pozzi a sperdere che inquinano la falda, i fenomeni di dissesto che caratterizzano le abitazioni ubicate su sinkhole (i cosiddetti aisi dei quali dirò in altri post su queste problematiche), oltre ovviamente, aumentare i servizi per il cittadino favorendo l’imprenditoria pubblica e privata …. sono tutti argomenti che non possono essere rimandati.
Possibile che non ci si renda conto che le marine leccesi sono gravemente malate e che è necessario cambiare radicalmente atteggiamento nei confronti dell’ambiente costiero poiché è il modo di fare che si è perpetuato per decenni che le ha portate alla condizione attuale?
Per quanto riguarda le classificazioni normative del Piano Regionale delle Coste sono d’accordo con il Presidente di FederBalneari sulla opportunità di rivedere alcune norme. Anzitutto specifico che proprio per adeguare le classificazioni in essere è stato definito il Piano di Monitoraggio, condizione necessaria da attuarsi in continuo per almeno tre anni per potere cambiare le perimetrazioni esistenti. Tale monitoraggio in continuo svolto per tre anni costituisce l’unica possibilità per modificare le perimetrazioni mentre ovviamente “non valgono” confronti fatti tra fotografie scattate in tempi diversi con condizioni marittime differenti che possono generare provvisori ripascimenti. La proposta di monitoraggio prevede una serie di rilievi da svolgere congiuntamente tra Amministrazione e gestori pensando anche a delle premialità per chi opera in maniera particolarmente virtuosa. In poche parole si è pensato di premiare il merito, un concetto che fatica a farsi strada nel nostro paese Italia. Sinceramente non credo che la situazione che uscirebbe fuori da un monitoraggio di questo tipo sarebbe molto migliore di quella fotografata dal Piano Regionale perché l’erosione,così come ho spiegato, esiste veramente. Condivido però che la norma regionale secondo cui le aree critiche non possano essere concesse debba essere rivista. Se fossi infatti nei panni di una qualsiasi Amministrazione sarei ben lieto se un imprenditore volesse investire su un’area in erosione ponendo in essere dei fondi propri a difesa dell’ambiente costiero in cambio di una sua fruizione sostenibile e stabilita di concerto con l’amministrazione stessa. Su questo si può e si deve lavorare, in Regione. Chiudo con una foto dei primi del 1900 in cui, per scelta tecnica, venivano smantellate gran parte delle dune di Torre Chianca e la sabbia veniva portata attraverso rotaie (decauville) nelle depressioni palustri retrostanti per colmarle (foto 15, da Passerini, 2017). Una scelta ovviamente sbagliata così come quella che negli anni 1970 effettuarono, questa volta abusivamente, molti nel momento in cui prelevarono la sabbia delle dune per fare il cemento con cui costruivano, in una nottata, le fondamenta delle case che oggi caratterizzano alcuni tratti del litorale leccese e non solo. Ma oggi siamo nel 2019 e abbiamo tutti coscienza di quello che dobbiamo fare perché i problemi posti, gira e rigira (come si suol dire a Lecce) sono quelli che ho esposto: la società civile è pronta ad uno scatto, anzi riscatto culturale e sebbene io capisca le ragioni imposte dalla bagarre elettorale mi auguro che la classe politica tutta faccia, nel caso specifico delle marine, fronte comune all’emergenza sociale ed ambientale in essere nell’interesse di tutti i leccesi perché non di polemiche si ha bisogno ma di fatti concreti e immediati che prima si possono realizzare se vi è compattezza e unione di intenti (proprio come si fa dinanzi alle emergenze). Sperando di non aver annoiato nessuno …”.