LIZZANELLO (Lecce) – Trent’anni di reclusione più una serie di pene accessorie. È la condanna, inflitta in abbreviato, nei confronti di Carmine Mazzotta, 46enne, di Lecce, uno dei presunti responsabili dell’omicidio di Gabriele Manca, ucciso a soli 20 anni nel marzo del 1999 nelle campagne di Lizzanello. Ad emettere la sentenza è stato il gup Cinzia Vergine (stessa richiesta invocata dal pubblico ministero della Dda Carmen Ruggiero) che ha inflitto il massimo della pena per chi sceglie di essere giudicato con il rito abbreviato. L’imputato, sempre detenuto, era accusato di omicidio volontario aggravato dai motivi futili e abbietti e dalla premeditazione e porto abusivo di arma. Per Mazzotta il giudice ha disposto l’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e la sospensione dalla potestà genitoriale oltre alla sospensione dei termini della custodia cautelare. Nell’inchiesta sono coinvolti altri tre imputati: Omar Marchello, 40enne di Lizzanello, ritenuto l’autore materiale; Giuseppino Mero, 54, di Cavallino e Pierpaolo Marchello, 41enne originario di Lizzanello attualmente residente a San Benedetto del Tronto, quest’ultimo indagato a piede libero. Il processo è in corso davanti ai giudici della Corte d’assise di Lecce.
Secondo le indagini Mazzotta avrebbe ucciso la vittima con tre colpi di pistola in aperta campagna perché aveva picchiato Marchello in piazza tempo prima bollandolo come un infame per averlo denunciato ai carabinieri. E per ribadire la propria supremazia sul territorio quel doppio affronto doveva essere vendicato con il sangue. Quel tragico pomeriggio di sangue, era il 17 marzo del 1999, Gabriele Manca aveva un appuntamento con il padre Giovanni per essere accompagato alla stazione. Militare di leva, 20 anni, residente a Lizzanello, sarebbe rientrato di lì a breve a Foggia. Ma all’appuntamento con il padre non arrivò mai. Il padre lo attese. Invano. Il giorno dopo, preoccupato, si recò in caserma per denunciarne la scomparsa. Le ricerche scattarono nell’immediatezza. Furono scandagliati gli ospedali della provincia ma di Gabriele Manca “attenzionato” dalle forze dell’ordine “per un carattere irascibile”, una sorta di cane sciolto, non fu trovata alcuna traccia. Fino alla tragica scoperta.
Il corpo di Manca venne ritrovato il 5 aprile, il giorno di Pasquetta, accanto a un muretto a secco sulla strada tra Lizzanello e Merine. Il giovane era stato assassinato a colpi di pistola, una Tokarev semi-automatica calibro 7,62, e ferito mortalmente al torace, al braccio e al gluteo destro. Era stato colpito di spalle mentre cercava una disperata quanto inutile fuga. In un’aula di tribunale, dunque, hanno trovato una sponda le indagini condotte dai carabinieri del Ros di Lecce che hanno risolto uno dei tanti casi di “cold case” che hanno macchiato il Salento tra gli anni ’90 e gli inizi del 2000 anche grazie alle testimonianze fornite dai collaboratori di giustizia tra cui Alessandro Saponaro e Alessandro Verardi.
E proprio sulla presunta inattendibilità delle dichiarazioni dei pentiti si è incentrata l’arringa difensiva degli avvocati Giancarlo Dei Lazzaretti ed Enrico Grosso (quest’ultimo del Foro di Torino) hanno evidenzianto l’incongruenza delle testimonianze fornite dai due collaboratori oltre ad una serie di elementi esterni che smentivano la ricostruzione dei pentiti. In particolare, secondo Saponaro, l’arma utilizzata per compiere il delitto sarebbe stata una 357 magnum nonostante i bossoli rinvenuti sul luogo dell’omicidio erano riconducibili ad una 762. Sempre Saponaro, nelle sue dichiarazioni, aveva dichiarato che all’origine dell’omicidio vi era stata una discussione tra Marchello e la vittima per motivi legati alla gestione di affari illeciti. Nel ricostruire la lite Saponaro avrebbe riferito che era stato Marchello ad accoltellare la vittima al viso dopo avergli sottratto il coltello dalle mani. Per Verardi, invece, i ruoli erano invertiti facendo emergere così divergenze sulle dinamiche. Insomma una prova di colpevolezza non si poteva fondare su dichiarazioni de relato che i due collaboratori avevano acquisito chissà come quando e dove. Secondo gli insegnamenti della Corte, in simili casi, l’approfondimento del giudice deve essere maggiormente rigoroso per verificare l’attendibilità del racconto.
Il litigio, motivo scatenante della furia omicidiaria, avvenne in piazza. Secondo la ricostruzione del carabinieri Manca ferì al volto Marchello con un taglierino. Non solo. Sempre il giovane, sfrontato e sicuro di sé, avrebbe definito Marchello “un infame” per averlo denunciato ai carabinieri quale autore del suo ferimento. In questo contrasto sarebbe maturato – secondo gli investigatori – il movente. Manca avrebbe pagato con la vita la insubordinazione e la irriverenza nei confronto di Marchello che tentava di imporre la sua supremazia criminale a Lizzanello. La sera dell’omicidio Manca sarebbe stato attirato in un tranello. Mero, con il pretesto di favorire un chiarimento con Omar Marchello, avrebbe accompagnato Manca in campagna dove, però, lo avrebbero atteso i killer.
Il giovane sarebbe stato affrontato e ammazzato dopo essere caduto in un’imboscata tesagli proprio da Carmine Mazzotta presente sulla scena del delitto. Da allora i due (Marchello e Mazzotta) avrebbero assunto un ruolo rilevante nelle frange della Scu leccese rimediando condanne per droga e mafia. Subito dopo l’ordinanza notificata agli imputati un teste chiave aveva ritrattato le accuse mosse contro Marchello nel febbraio del 2015 in un differente procedimento. In quell’occasione il teste aveva dichiarato di aver assistito ad un’aggressione di Marchello nella piazza di Pisignano nell’estate del 2011 in cui avrebbe riferito ad un individuo che avrebbe fatto la stessa fine riservata a Gabriele Manca mangiato dai cani.
Successivamente il teste ha fatto un nuovo passo indietro puntando il dito ancora una volta contro Omar Marchello indirizzando una lettera al Procuratore Capo della Repubblica di Lecce Leone De Castris, al procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia Guglielmo Cataldi e all’ex procuratore aggiunto Antonio De Donno.
Per una revisione del processo bisognerà attendere i prossimi 90 giorni, termine massimo entro il quale saranno depositate le motivazioni. I genitori e i fratelli della vittima, assistiti dall’avvocato Fabrizio D’Errico, verranno risarciti in separata sede.