SQUINZANO (Lecce) – Nessuno sconto di pena per la sorella e il cognato della giovane mamma (all’epoca 17enne) accusati di infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale e occultamento di cadavere in concorso con la ragazza. La Corte d’Assise d’Appello di Lecce (Presidente Vincenzo Scardia, a latere Eva Toscani) ha confermato la condanna a 14 anni di reclusione inflitta in primo grado a fronte di una riduzione di pena invocata dal sostituto procuratore generale Salvatore Cosentino a 5 anni. Alla base della richiesta vibrata dalla Procura generale il riconosimento dell’attenuante prevista dal secondo comma del reato di infanticidio che dispone che se il fatto è stato commesso allo scopo di favorire la madre è prevista una riduzione da un terzo a due terzi della pena.
Mano meno pesante, ma molto meno, per la giovane mamma autore materiale dell’infanticidio che a luglio di un anno fa ha ottenuto la messa alla prova per 1 anno e 2 mesi al termine dell’udienza preliminare davanti al gup del Tribunale per i Minori con le accuse di infanticidio e occulatmento di cadavere (le stesse accuse contestate alla sorella e al cognato). Tanto che lo stesso avvocato Scardia, al termine del processo di primo grado, riferì al nostro sito come l’autrice dell’infanticidio fosse uscita dalla vicenda giudiziaria con il perdono giudiziario mentre per i suoi assistiti (in primo fìgrado l’avvocato difendeva anche la sorella) era stata rifilata una condanna così pesante.
Il parto risale all’8 febbraio del 2017. Secondo gli accertamenti condotti dai carabinieri della stazione di Squinzano coordinati dal sostituto procuratore Donatina Buffelli, la piccola, nata alla 35esima settimana di gravidanza, appena venuta al mondo venne avvolta in una busta e nascosta in una borsa all’interno di un armadio della camera da letto nell’abitazione della sorella in cui la ragazza viveva dopo un periodo trascorso in una casa famiglia. L’allora 17enne cercò di mantenere il segreto. A causa di un’emorragia, però, fu costretta al ricovero presso l’ospedale di Copertino dove raccontò di aver partorito la piccola tenendo all’oscuro parenti e amici.
I carabinieri di Squinzano, guidati dal luogotenente Giovanni Dellisanti, raggiunsero l’abitazione alla periferia di Squinzano. Il corpicino venne così recuperato mentre sia la Procura ordinaria che quella minorile aprirono un fascicolo d’indagine iscrivendo i nomi della madre e dei suoi stretti parenti che, per i giudici di primo grado, sapevano di quella gravidanza sfociata in un dramma consumatosi in un contesto di forte degrado morale, economico e sociale. I due imputati erano difesi dagli avvocati Maurizio Scardia e Paolo Spalluto che potranno impugnare la sentenza in Appello non appena saranno depositate le motivazioni attese per i prossimi 90 giorni.