LECCE – Troppo schiaccianti le prove e la Procura di Lecce chiede il giudizio immediato per Antonio De Marco, l’omicida reo confesso dell’arbitro Daniele De Santis e della sua fidanzata Eleonora Manta uccisi con oltre 60 coltellate il 21 settembre nell’appartamento di via Montello. Lì dove la coppia si era trasferita proprio quella sera per vivere insieme. E per immortalare quel momento avevano anche postato delle foto sui social dell’abitazione che doveva rappresentare il loro nido d’amore e che, invece, si è trasformato in poco meno di dieci minuti nello scenario di uno dei delitti più atroci che si sono consumati nella città di Lecce. Perché, poco dopo le 20.30 di quel lunedì, nella loro vita è entrato anzi è rientrato un loro ex coinquilino. Armato e assetato di vendetta e di sangue.
La richiesta di giudizio immediato a carico di De Marco è stata avanzata dal Procuratore Capo Leonardo Leone De Castris, dagli aggiunti Elsa Valeria Mignone e Guglielmo Cataldi e dalla sostituta Maria Consolata Moschettini. Per gli inquirenti salentini, dunque, si può bypassare l’udienza preliminare alla luce dello stato detentivo e delle prove schiaccianti raccolte a carico del 21enne di Casarano con l’aspirazione di diventare un infermiere. Ora la richiesta è stata depositata sul tavolo del gip Michele Toriello che dovrà firmare un decreto di giudizio immediato (si tratta di una mera formalità tecnica). De Marco, infatti, è sempre detenuto dal 27 settembre scorso con l’accusa di duplice omicidio aggravato dalla premeditazione e dall’aver agito con crudeltà oltre che di porto abusivo d’arma bianca. Accuse pesantissime in una parabola processuale che appare già segnata salvo clamorosi colpi di scena che potrebbero arrivare solo con l’ammissione di una perizia psichiatrica con la forma dell’incidente probatorio. Un’istanza che gli avvocati del giovane hanno depositato nella cancelleria del gip.
Un’esistenza segnata per De Marco come quella dei familiari dei due ragazzi vittime, inconsapevoli, di un ragazzo pieno di fragilità, debolezze e insicurezze che lo hanno portato a trasformarsi in uno spietato assassino. Probabilmente in un serial killer come dichiarò lo stesso Procuratore Capo De Castris subito dopo l’arresto del giovane bloccato dopo una giornata di lavoro all’uscita dell’ospedale “Vito Fazzi”. Si è accanito contro due ragazzi che sognavano una vita insieme: Daniele, arbitro di calcio di Lega Pro e la fidanzata, originaria di Seclì, funzionaria dell’Inps dopo un brillante percorso di studi giuridici. Due ragazzi senza grilli per la testa. Amicizie di lavoro e di studio. Una vita morigerata scandita dall’amore e dalla voglia di condividere la convivenza. Nel loro percorso, però, non sapevano di essere seguiti, monitorati e invidiati da un ex coinquilino. De Marco aveva vissuto con loro fino ad agosto e nei mesi precedenti aveva pianificato il delitto della coppia messo a punto quella sera servendosi in un doppione delle chiavi di cui era in possesso e di un coltello acquistato settimane prima da un negozio.
Si introdusse con il volto coperto da una felpa, con un paio di guanti in lattice e, probabilmente, avrebbe voluto seviziare le due vittime in un macabro rito di morte che doveva ricalcare le orme del killer seriale tratteggiato nel film Scream e citato dal gip Toriello nel corso dell’interrogatorio di garanzia. De Marco aveva studiato tutto: abitudini di vita dei due fidanzati; orari; tragitto da effettuare; le vie da percorrere e le strade da evitare per sfuggire alle telecamere di videosorveglianza e rientrare così nella sua abitazione di via Fleming. Ma proprio alcuni occhi digitali lo avrebbero inchiodato riprendendolo mentre ritornava verso casa con un passo lento e con i pantaloni sporchi di sangue. E aveva effettuato anche dei sopralluoghi prima di entrare in azione guarda caso proprio nel primo ufficiale giorno di convivenza della coppia. ”Non accettavo la loro felicità”, ha sempre dichiarato De Marco per dare un senso (se di senso si può parlare) ad una simile carneficina. Un movente fragile come l’assassino. Un giovane timido, estroverso, con poca fortuna con le ragazze e che per trovare un momento di intimità con l’altro sesso si rifugiava nelle braccia di qualche escort come avvenuto appena 48 ore prima del suo arresto.
“Mi sembrava un ragazzo dolce e buono” raccontò la donna che aveva condiviso qualche momento di intimità con il ragazzo a pochi giorni di distanza dal delitto. “Non possiamo pensare di aver avuto un assassino con noi”, i commenti dei suoi stessi colleghi di corso che avevano notato la timidezza di De Marco scambiandola per un suo tratto caratteriale che mai e poi credevano sarebbe potuto esplodere in un impeto di violenza così efferata.