MARTANO (Lecce) – Un rapporto conflittuale con la ex moglie caratterizzato da episodi che non avrebbero mai configurato l’accusa di stalking. E per un assistente capo della polizia penitenziaria di 49 anni residente a Martano il processo si chiude con una sentenza assolutoria che ha disatteso la richiesta di condanna di 1 anno e 6 mesi invocata dal pubblico ministero Roberta Licci. Questo il verdetto emesso dal gup Giulia Proto dopo l’esame e il controesame a cui si è sottoposto l’imputato (sospeso dal servizio e condannato per fatti successivi a 1 anno e 4 mesi) in cui ha contestato le accuse. All’esito della sua versione il giudice ha ritenuto di voler sentire la persona offesa costituitasi parte civile e l’acquisizione del carteggio dal consultorio del paese da cui sarebbe emersa la conflittualità tra la coppia.
Eppure l’imputazione era piuttosto pesante. Fino ad aprile del 2017 l’uomo avrebbe molestato la ex moglie – dalla quale è legalmente separato sin da marzo del 2015 – e la sua famiglia con continue ingiurie e minacce esternate, a volte, anche davanti alle figlie minori: “Ti caccio le budella”; “Ti do fuoco”; “Sei una miserabile”; “Una madre snaturata” diceva alla donna. In altre circostanze l’assistente capo avrebbe insultato chi accompagnava la ex moglie accusandoli di intrattenere relazioni sentimentali per poi dileggiarli con evidente imbarazzo e costringendoli ad allontanarsi. In ulteriori episodi si parla di appostamenti sotto casa che avrebbero creato nella donna un perdurante stato d’ansia.
Alla luce di un simile quadro probatorio l’avvocato dell’imputato, Diego Cisterino, ha sostenuto che le condotte del proprio cliente non avrebbero configurato l’accusa di stalking perché sarebbe mancata la reiterazione del reato causato da esplosioni di rabbia in un lasso di tempo che non è stato definito. Inoltre e la conflittualità con la donna sarebbe stata causata esclusivamente da vicende familiari e da una separazione risultata più complessa del previsto. E il giudice, tenendo conto di questi rilievi, ha mandato assolto l’assistente capo con formula piena, perché il fatto non sussiste.