LECCE – Anche un docente universitario leccese tra i bersagli dell’Isis. Il nome del professore salentino – che omettiamo per tutelarlo – compare infatti nell’ultima “kill list“, la “lista della morte”, diffusa ai propri seguaci dagli hacker dello “United Cyber Caliphate”, un gruppo di esperti informatici simpatizzanti dello Stato Islamico.
Un leccese tra gli oltre quattromila e cinquecento nominativi delle persone da eliminare. L’appello che viene lanciato ai “lupi solitari”, infatti, è perentorio ed agghiacciante: ucciderle immediatamente e con violenza, ovunque si trovino.
Il nome del docente salentino è inserito nella blacklist contenente i nomi di 4.681 persone sparse in tutto il mondo. Gran parte di esse vivono negli Stati Uniti d’America, mentre in Italia ne vivono 29. Oltre al professore leccese, nell’elenco vi sono i nomi di undici persone residenti a Milano; sei residenti a Roma; due a Padova, una rispettivamente nelle città di Torino, Bologna, Benevento, Asti, Lucca, Sesto San Giovanni (Milano), Cassina de’ Pecchi (Milano), Frascati (Roma) e Berbenno di Valtellina (Sondrio).
Competenti nel campo informatico e nei settori bancario e finanziario, i bersagli indicati nella “kill list” non hanno alcun legame con i terroristi. Si tratta di persone comuni, che svolgono un lavoro comune, finite loro malgrado nella lista nera diffusa dal gruppo di fanatici informatici, sostenitori del Califfato. Accanto alla sfilza di nomi e cognomi degli “infedeli”, sono indicate le loro professioni, il luogo in cui le esercitano, l’indirizzo di posta elettronica, il numero di telefono ed ovviamente la città in cui si trovano.
Numerosi i Paesi in cui i mujaheddin sono stati invitati a colpire. Oltre all’Italia ed agli Usa, figurano anche Francia, Belgio, Spagna, Germania, Grecia, Gran Bretagna, Austria, Svizzera, Portogallo, Russia, Svezia, Cina, India, Israele, Corea, Corea del Sud. E ancora Olanda, Danimarca, Nuova Zelanda, Cipro, Filippine, Messico e tante altre nazioni, compreso lo stato caraibico di Trinidad e Tobago.
La “lista della morte” – che ha inevitabilmente creato scompiglio in tutto il mondo – è stata diffusa alcune settimane fa dagli hacker UCC sul proprio canale Telegram (applicazione di messaggistica criptata, ndr), corredata da una vignetta in cui compaiono un combattente col volto coperto, la bandiera nera dell’Isis sullo sfondo e frasi che incitano i “lupi solitari” ad entrare in azione: “kill them immediatily”, “kill them strongly”, con riferimento ai nomi dell’elenco. Ammazzarli immediatamente e nella maniera più violenta.
Alla notizia della divulgazione di questa “kill list”, però, se ne aggiunge un’altra. Decisamente meno allarmistica rispetto al lungo elenco delle persone da uccidere e per certi versi beffarda, soprattutto per i simpatizzanti dello Stato Islamico: gli hackers pro-Isis, infatti, avrebbero “riciclato” la lista, prelevandola da un database pubblico, presente sul web almeno dal 1999.
A rivelarlo sono stati gli esperti informatici della “Vocativ”, una società americana di media e tecnologia, specializzata in attività che riguardano il cosiddetto “lato oscuro del web”. Gli statunitensi, infatti, riusciti a carpire la lista diffusa dai seguaci delle bandiere nere, hanno scoperto che lo stesso elenco – contenuto in un file Excel – era già presente in alcuni archivi elettronici disponibili online da oltre quindici anni. Persino su LinkedIn.
È stato sufficiente smanettare su Internet qualche ora per trovarlo: stesso elenco, stessi nominativi, ma su un classico foglio elettronico di colore bianco, anziché nero come nel “file della morte” diffuso agli “only wolves”, ossia ai lupi solitari. Propagande di morte e terrore partite da alcuni esperti informatici, ma di “copia e incolla”.
Claudio Tadicini