Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni…». Alcuni dei presenti dicevano: «Ecco chiama Elia!»”(Mc 15, 34-35).
Desta sorpresa e stupore questo stato di confusione che avvolge gli spettatori, durante quel momento tragico della vita terrena di Gesù.
Gesù è lassù, sul colle detto Golgota, negli ultimi istanti della sua esistenza in mezzo a noi. Egli ha vissuto tutte le oscure sfumature della sofferenza: dalla paura della morte, all’abbandono e al tradimento dei suoi amici, al peso della solitudine sino alle torture dei militari e alla derisione della folla.
Poi l’abisso più profondo, il silenzio di Dio, che non risponde alle sue invocazioni e, infine, la morte: «Lanciando un forte urlo, spirò» (Mc 15,37). Le sue ultime parole sono un grido di angoscia che l’evangelista ci riferisce nella lingua popolare di allora, l’aramaico. Si tratta dell’avvio del Salmo 22: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni», tradotto in: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».
È un grido! Di sofferenza, di angoscia, di paura, oppure?
Benedetto XVI, grande teologo, nel suo libro ‘Gesù di Nazaret’ afferma: «Non è un qualsiasi grido di abbandono. […] Egli porta davanti al cuore di Dio stesso il grido d’angoscia del mondo tormentato dall’assenza di Dio. Si identifica con l’Israele sofferente, con l’umanità che soffre a causa del “buio di Dio”, assume in sé il suo grido, il suo tormento, tutto il suo bisogno di aiuto e con ciò, al contempo, li trasforma».
Jean Galot chiarisce: «Perfettamente innocente, egli assume nella sua offerta il sentimento di abbandono che proviene dal peccato. Trasformando sofferenza e morte in offerta redentrice, converte anche l’abbandono affettivo in oblazione per la salvezza del mondo».
Ed ancora nel testo di Romano Guardini ‘Il Signore’ si legge: «Dio è Signore del mondo e dell’uomo ma il suo modo di entrare nel mondo e di accostarsi all’uomo non è quello di un Signore. Appena entrato nel mondo, egli si fa misteriosamente debole, quasi avesse deposto la sua onnipotenza sul limitare del mondo stesso».
Anche il silenzio rientra nel Mistero di Dio.
Ritornano, però, come un inquietante ritornello, le parole del salmo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? […]Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; di notte, e non c’è tregua per me”. È il grido di Gesù di fronte alla sofferenza, al dolore che abbraccia il grido dell’uomo di ogni tempo, dinanzi ai tanti perché che non trovano una risposta, se non in un coraggioso e cosciente atto di fede.
In una udienza Benedetto XVI commenta il salmo: «Dio tace, e questo silenzio lacera l’animo dell’orante, che incessantemente chiama, ma senza trovare risposta. I giorni e le notti si succedono, in una ricerca instancabile di una parola, di un aiuto che non viene; Dio sembra così distante, così dimentico, così assente. La preghiera chiede ascolto e risposta, sollecita un contatto, cerca una relazione che possa donare conforto e salvezza. Ma se Dio non risponde, il grido di aiuto si perde nel vuoto e la solitudine diventa insostenibile».
Ed ancora:« questo Salmo ci ha portati sul Golgota, ai piedi della croce di Gesù, per rivivere la sua passione e condividere la gioia feconda della risurrezione. Lasciamoci dunque invadere dalla luce del mistero pasquale anche nell’apparente assenza di Dio, anche nel silenzio di Dio, e, come i discepoli di Emmaus, impariamo a discernere la vera realtà al di là delle apparenze, riconoscendo il cammino dell’esaltazione proprio nell’umiliazione, e il pieno manifestarsi della vita nella morte, nella croce».
La croce di Cristo non mostra solo il silenzio di Gesù come sua ultima parola al Padre, ma rivela che, anche Dio, parla al Figlio e a noi tutti, attraverso il silenzio. “Appeso al legno della croce, ha lamentato il dolore causatoGli da tale silenzio”, ma ha obbedito al Padre, affidandosi a Lui: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46).
Di fronte ai tanti perché dinanzi alla croce di Cristo e alle ‘croci’ che segnano la storia dell’uomo, sovente fatta di violenza, guerre, orrori, morte, il Silenzio può parlare, indicare una via:
«Ma questo silenzio di Dio, come è avvenuto anche per Gesù, non segna la sua assenza. Il cristiano sa bene che il Signore è presente e ascolta, anche nel buio del dolore, del rifiuto e della solitudine. […] un cuore attento, silenzioso, aperto è più importante di tante parole. Dio ci conosce nell’intimo, più di noi stessi, e ci ama: e sapere questo deve essere sufficiente. Nella Bibbia l’esperienza di Giobbe è particolarmente significativa al riguardo. Quest’uomo in poco tempo perde tutto: familiari, beni, amici, salute; sembra proprio che l’atteggiamento di Dio verso di lui sia quello dell’abbandono, del silenzio totale. Eppure Giobbe, nel suo rapporto con Dio, parla con Dio, grida a Dio; nella sua preghiera, nonostante tutto, conserva intatta la sua fede e, alla fine, scopre il valore della sua esperienza e del silenzio di Dio. E così alla fine, rivolgendosi al Creatore, conclude: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto” (Gb 42,5): noi tutti quasi conosciamo Dio solo per sentito dire e quanto più siamo aperti al suo silenzio e al nostro silenzio, tanto più cominciamo a conoscerlo realmente. Questa estrema fiducia che si apre all’incontro profondo con Dio è maturata nel silenzio. San Francesco Saverio pregava dicendo al Signore: “io ti amo non perché puoi darmi il paradiso o condannarmi all’inferno, ma perché sei il mio Dio. Ti amo perché Tu sei Tu”».
Alla domanda che, probabilmente, tutti ci siamo posti : “Perché il Figlio di Dio è morto crocifisso? Che significato ha quella croce?”, a questi e a tanti altri perché non possiamo che rispondere con le parole di San Paolo della Prima Lettera ai Corinzi: la croce “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” è per chi crede “potenza e sapienza di Dio”.
Chi crede si fida: «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1).
Manuela Marzo