F.Oli.
PARABITA (Lecce) – Niente sconti di pena per Biagio Toma, 48 anni, di Parabita, ritenuto uno dei presunti autori materiali del duplice omicidio di Paola Rizzello e della figlioletta Angelica Pirtoli, di soli due anni, barbaramente uccise il 20 marzo del 1991. I giudici togati e popolari della Corte d’assise d’appello (Presidente Vincenzo Scardia, a latere Eva Toscani) hanno confermato la condanna all’ergastolo riducendo di soli 15 giorni l’isolamento diurno di un anno disposto dai giudici di primo grado. L’imputato rispondeva del reato di duplice omicidio volontario finalizzato ad agevolare l’associazione mafiosa. La sentenza conferma anche i vari risarcimenti per i familiari delle vittime assistiti dagli avvocati Emanuela Pispico, Leonardo Marseglia, Giancarlo Zompì e Serena Tempesta.
L’OMICIDIO
La tragedia rappresenta così come hanno scritto i giudici nelle motivazioni della sentenza di primo grado “l’omicidio più cruento compiuto dalla Sacra Corona Unita”. Era il 20 marzo del 1991. Per strada imperversava la guerra di mala. I due sicari vennero assoldati dal capo clan Luigi Giannelli, (già condannato all’ergastolo con il ruolo di mandante) per uccidere la donna. Una sentenza di morte decretata per questioni private e non solo. De Matteis uccise a fucilate la giovane mamma di soli 27 anni in una casa di campagna pagando con la vita le sue conoscenze sulle attività del clan. I resti della donna vennero recuperati il 18 febbraio del 1997 all’interno di una cisterna nel comune di Parabita, in località contrada “Tuli”. La presenza della piccola, invece, non sarebbe stata preventivata dai killer. La bimba Venne eliminata poche ore dopo così come imposto dal boss. “Ce lo dovevano dire che c’era anche la bambina”, dichiarò in aula De Matteis. “Ho pensato di lasciarla in un garage di Taviano, io la volevo abbandonare e ho detto a Toma che non avevo il coraggio”. Poi, però, quel sussulto di coscienza lasciò spazio ad un rigurgito di istinto e di violenza. “Siamo tornati indietro”, ricostruì sempre De Matteis, “Toma è entrato e ha preso la bambina mentre io sono rimasto in macchina. L’ha sbattuta vicino al muro prendendola per il piede. Poi mi ha detto che la bambina era morta”.
INDAGINI
Il sequel sul duplice omicidio è un’affannosa rincorsa alla disperata ricerca di un nascondiglio per liberarsi di quei corpi diventati troppo ingombranti. “Abbiamo buttato la madre in un pozzo e poi abbiamo messo il cadavere della bimba in un sacco. La sera stessa, il solo Toma è tornato e ha bruciato i due cadaveri con gli ori rubati alla Rizzello”. Poi il racconto sulla fossa scavata per dare una sepoltura a quel corpicino: “La mattina dopo, ci siamo spostati in un’altra località di campagna e dopo aver scavato una buca abbiamo seppellito il corpo della bambina. Sopra abbiamo messo un masso”. Il corpo della bimba venne ritrovato solo il 5 maggio del 1999 in una collinetta nelle campagne di Matino grazie alle dichiarazioni di De Matteis sulla scorta di una lunga indagine coordinata dall’allora sostituto procuratore Giuseppe Capoccia (attuale Procuratore capo a Crotone) e condotta dai carabinieri del Ros di Lecce che hanno ricostruito il duplice omicidio grazie a riscontri tecnici, esami di laboratorio e acquisizioni di dichiarazioni che hanno superato lo scoglio anche del secondo grado di giudizio.
TESI DIFENSIVA
I giudici hanno così disatteso le argomentazioni sostenute dall’avvocato Walter Zappatore che anche con una ulteriore memoria difensiva ha ribadito le molteplici ragioni che a suo dire deponevano per l’innocenza dell’imputato. Prima fra tutte quella che Toma Biagio non poteva aver ordinato di spostare il cadavere di Angelica mentre era in carcere, se poi non lo aveva più fatto allorquando avrebbe potuto rimuoverselo da sé, essendo tornato e rimasto in libertà per oltre 1 anno e 4 mesi prima che il corpicino venisse ritrovato. L’avvocato Zappatore ha altresì contestato una per una tutte le tessere dell’impianto accusatorio fondato sulle parole dei pentiti Luigi De Matteis e Massimo Donadei i quali avevano accusato Toma Biagio. La difesa ha così snocciolato sia le molteplici contraddizioni che smentivano le accuse di Donadei, sia il fatto che quest’ultimo aveva tutte le ragioni per accusare falsamente Toma, poiché era fatto accertato giudizialmente che Donadei odiasse a tal punto il preunto killer da averne addirittura ordinato l’omicidio.
L’avvocato ha ribadito poi l’inefficacia delle dichiarazioni di De Matteis evidenziando come era stato ritenuto inattendibile anche in un’altra circostanza allorquando aveva nuovamente accusato Toma di compartecipazione ad un commando omicidiario. E’ stata fornita anche una differente interpretazione dell’intercettazione ambientale effettuata all’interno del Carcere di Sulmona confluita nell’inchiesta Contatto che, secondo la difesa, dimostrava l’estraneità di Toma all’intera vicenda. La difesa potrà impugnare la sentenza in Cassazione non appena i giudici depositeranno le motivazioni attese nei prossimi 90 giorni.