In Italia viviamo in una crisi perenne da decenni: l’assenza di lavoro retribuito dignitosamente (dovuto a una serie di interventi scellerati di precarizzazione, che chiamavamo “flessibilità”, basati sulla falsa promessa di una moltiplicazione di posti) fa scappare i nostri giovani e non dà speranze, ma solo “stipendiucci” per vivere da frustrati sulle spalle dei genitori. È assodato che leggi come il Jobs act hanno creato occupazione finta: troppi giovani laureati a 600 euro al mese. A questo problema si è aggiunto prima il covid e, poi, la criminale speculazione sul carburante (c’è chi ha approfittato della guerra in Ucraina per fare cassa) che sta devastando il nostro potere di acquisto. Anche i beni primari aumentano e in troppi non arrivano più a fine mese. Come salvarsi da questa tempesta perfetta? Nei momenti di crisi solo l’intervento statale può salvare l’economia: l’unico modo è sostenere le famiglie adeguando i salari alla vita reale, tagliando tasse strozzanti e burocrazia per le imprese in difficoltà e assumendo nel pubblico. Il problema non è il reddito di cittadinanza, ma ritenere che un giovane debba sopravvivere con mezzo stipendio. In troppe aziende gli assunti part-time lavorano full-time! Abbiamo “cinesizzato” il mondo del lavoro, anche quello degli stagionali, e pensiamo che sia normale, ma con stipendi da fame quale futuro diamo a questo paese? Come faranno le giovani generazioni ad acquistare casa, auto e come manterranno la famiglia con questi salari e con un potere d’acquisto che diminuisce ogni giorno di più? Con il Corriere Salentino, in questi anni, abbiamo raccolto le testimonianze di giovani struttati, dei laureati nei call-center, assunti per tre mesi e poi mandati a casa, degli stagionali a 600-800 euro per 12 ore al giorno.
Un lavoratore con uno stipendio adeguato non si accontenta del reddito di cittadinanza. Ma oggi il tema principale è anche quello di adeguare gli stipendi alla vita reale, aiutando le imprese che rispettano le leggi. L’economista Guglielmo Forges Davanzati, docente di Economia politica a UniSalento, analizza cause ed effetti dei bassi salari.
Professore Forges Davanzati, stipendi bassi e lavoro precario: come si esce da questa spirale?
«L’Italia è uno dei pochi paesi dei 27 UE senza un salario minimo. I salari reali si sono ridotti dall’inizio degli anni Novanta, facendo registrare una flessione del 2,9%. In Germania il minimo salariale consente uno stipendio mensile pari a 1650 euro. L’immediato effetto positivo dell’introduzione del salario minimo è l’aumento della domanda interna: se paghi dignitosamente i lavoratori, aumentano i consumi, e il reddito nazionale aumenta più che proporzionalmente per effetto del moltiplicatore. In Italia va segnalata a riguardo la proposta contenuta nel ddl Catalfo, che stabilisce un minimo orario di 9 euro (più basso di quello tedesco, pari a 12,9 euro a ora che copre 6 milioni di lavoratori)».
Il reddito di cittadinanza non ha aiutato i giovani a trovare un’occupazione e quando trovano un lavoro è spesso sottopagato. C’è un problema di tutele, ma come si possono ottenere?
«Attraverso due strumenti: l’introduzione del salario minimo e maggiori assunzioni nel pubblico impiego. Con riferimento al primo aspetto, merita attenzione la recente direttiva europea, che stabilisce un minimo salariale del 60 percento del salario mediano lordo e del 50 per cento del salario medio raccomandando che le retribuzioni debbano essere tali superare la povertà relativa: in altre parole, con la retribuzione bisogna assicurare condizioni di vita dignitose. Con riferimento al secondo aspetto, vi è ampia letteratura teorica ed empirica che mostra come un’espansione della presenza dello Stato in economia (in primis, attraverso maggiori assunzioni nel pubblico impiego e negli enti di ricerca) sia uno strumento essenziale di lotta alla disoccupazione e, contestualmente, di aumento del tasso di crescita della produttività del lavoro. Non vi è nessun criterio economico che impedisce l’aumento delle assunzioni nel pubblico impiego e i risultati del blocco del turnover sono devastanti e sono gli occhi di tutti. Si pensi a quanto sta accadendo nella sanità pugliese. Abbiamo il pubblico impiego più sottodimensionato d’Europa, soprattutto nel Sud, che ha molto meno personale rispetto al Nord».
Le mancate assunzioni nel pubblico hanno portato all’impossibilità di garantire servizi essenziali a Lecce, come il rilascio di una carta d’identità: una vera emergenza! È davvero impossibile sbloccare le assunzioni nel pubblico?
«Non esiste alcun vincolo di bilancio che impedisca l’espansione dei posti pubblici: i vincoli normativi che impediscono l’assunzione nella sanità derivano da leggi datate (il riferimento è alla spending review del 2012). Il Governo Monti, in particolare, è responsabile di questi provvedimenti che furono emanati per ridurre il rapporto debito/Pil. A ben vedere, il risparmio derivante dal blocco per le assunzioni è stato irrisorio per le finanze pubbliche e il rapporto debito/Pil, dopo il Governo Monti, è aumentato».
Qual è, allora la funzione del reddito di cittadinanza?
«Per inquadrare correttamente il nesso fra reddito di cittadinanza e funzionamento del mercato del lavoro, occorre svolgere tre considerazioni. La prima riguarda la povertà. Non si deve, infatti, dimenticare che la principale funzione del RD è il contrasto all’indigenza, alla diseguaglianza e all’esclusione sociale e che, stando all’ISTAT, sono circa 6 milioni, in Italia, gli individui che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta (impossibilitati, dunque, a procurarsi beni e servizi considerati essenziali), con una significativa accentuazione nel Mezzogiorno. Nonostante la pandemia e la guerra, la povertà in Italia è in riduzione. L’ISTAT certifica che nel 2021 le famiglie povere (in condizioni di povertà assoluta) erano il 7.5%, in calo rispetto al 7.7% del 2020.
Seconda considerazione. Come ho ricordato in precedenza, i salari reali, in Italia e contrariamente a quanto accade nell’Eurozona, sono in continua riduzione agli anni Novanta e l’Italia non dispone dello strumento del salario minimo, presente invece nella gran parte dei Paesi europei. Questo fa sì che la nostra crescita economica non possa dipendere da un volume sufficientemente ampio di consumi interni, come recentemente certificato dall’ISTAT. Il reddito di cittadinanza, a tal fine, aiuta. Contribuisce, infatti, a tenere alti i salari, aumentando il salario di riserva, ovvero la retribuzione minima che un lavoratore è disposto ad accettare per lavorare.
La terza considerazione riguarda la nostra struttura produttiva. Soprattutto nel Mezzogiorno, essa è fatta di imprese di piccole dimensioni, poco innovative nelle quali è spesso assente la contrattazione collettiva e diffusa quella “pirata”, così come diffusi gli straordinari non pagati, il part-time che è di fatto full-time, i periodi di prova non retribuiti. La loro domanda di lavoro si rivolge, nella gran parte dei casi, a personale poco qualificato nella sostanziale assenza della formazione professionale. I problemi di disallineamento fra domanda e offerta di lavoro nascono da questo: i salari proposti sono troppo bassi per essere appetibili, anche se sono proposti a una platea di lavoratori quasi indigenti. In più, vi è una seria letteratura sociologica, riferita alla condizione giovanile, che spiega che, rispetto agli adulti, i giovani, a parità di remunerazione, sono molto più attenti ai loro diritti: non temono l’impegno, ma lo sfruttamento.
Vi sono buone ragioni per contestare la tesi dominante secondo la quale il reddito scoraggerebbe il lavoro. In particolare:
Ciò detto, la normativa sul reddito di cittadinanza andrebbe modificata, per due ragioni. In primo luogo, Il RD lascia fuori molti poveri, definiti tali in base ai parametri ISTAT o di altri parametri concordati su scala internazionale, a ragione di requisiti di accesso troppo stringenti. Fra questi, la prescrizione stando alla quale gli extracomunitari beneficiari debbano essere residenti in Italia, oppure la sovrastima del patrimonio posseduto come requisito aggiuntivo rispetto al reddito familiare che già tiene conto delle quote da patrimonio, oppure ancora la sottostima della numerosità dei componenti del nucleo familiare (parametro che per contro dovrebbe essere preso adeguatamente giacché la povertà si concentra soprattutto nelle famiglie numerose). In secondo luogo, Il RD viene dato invece a molti soggetti che poveri non sono, a ragione del fatto che difficile capire se questi soggetti siano evasori o lavoratori in nero».
Oggi, però, c’è una nuova minaccia speculativa per il mondo del lavoro e per le giovani generazioni: l’aumento dei prezzi di tutti i beni. Qual è la ricetta più efficace per combattere la crisi del carburante?
«Adeguare i salari ai prezzi attraverso meccanismi di indicizzazione è l’unica risposta all’aumento del livello generale dei prezzi. La gran parte dei contratti di lavoro in Italia è scaduta, oppure è stata rinnovata prima del ritorno all’inflazione. In particolare il CNL rileva che sono scaduti i contratti per 7,7 milioni di lavoratori, pari al 62% del totale. Sono molto diffusi i “contratti pirata”, soprattutto nel Mezzogiorno, sottoscritti da organizzazioni non rappresentative e che consentono contratti al ribasso delle retribuzioni».
Quali sono gli effetti di un aumento dei salari dal punto di vista macroeconomico?
«Gli alti salari tengono elevati i consumi con effetti moltiplicativi sul Pil e sull’occupazione e incentivano le imprese a innovare, accrescendo la produttività del lavoro. In più gli alti salari motivano l’impegno lavorativo: come scriveva Francesco Saverio Nitti,“Quando i salari sono bassi i lavoratori hanno il cuore in sciopero”».