TORRE CASTIGLIONE (Lecce) – Sconto di pena in appello per l’imprenditore agricolo Giuseppe Roi, imputato per la morte del pastore albanese Qamil Hyraj ucciso a 23 anni da un proiettile sulla fronte la mattina del 6 aprile del 2014 nelle campagne di Porto Cesareo, a Torre Castiglione. La Corte d’Assise d’Appello di Lecce (presidente Vincenzo Scardia), ha riformato la condanna da 30 a ra 21 anni e 4 mesi per l’imprenditore. È stato dichiarato anche il non doversi procedere per i reati di armi, perché estinti per prescrizione. Confermata òa provvisionale di 50mila euro in favore di ciascuna delle parti civili, assistite dall’avvocato Ladislao Massari e dall’avvocata Uljana Gazdede.
Omicidio volontario con dolo eventuale in termini tecnici, l’accusa contestata all’imputato. Il titolare dell’azienda venne anche arrestato con l’accusa di omicidio volontario. Il Tribunale del Riesame, sulla scorta degli accertamenti balistici dei consulenti della difesa, scarcerò l’imprenditore riqualificando il reato in omicidio colposo; accusa messa nero su bianco nell’avviso di conclusione dell’allora pm Giuseppe Capoccia e confermata dal gup, al termine dell’udienza preliminare. Nel corso ell’istruttoria di primo grado, però, le testimonianze raccolte hanno fatto virare gli inquirenti verso un’accusa ben più grave poi confermata in aula.
Roi, infatti, era solito sparare. Deteneva armi lunghe e corte e si “divertiva” a esplodere colpi d’arma da fuoco sui muri che sui bidoni nelle campagne tra Torre Lapillo e Torre Castiglione dove Hyrai gestiva il pascolo del gregge di pecore per conto del suo datore di lavoro. “Prima o poi mi spara” aveva confessato ad un familiare il giovane pastore perché Roi già in una precedente circostanza gli aveva sparato da distanza ravvicinata. Il giovane albanese era arrivato in Italia per lavorare. Perché Hyrai faceva solo quello e bene. Conduceva una vita molto povera e dormiva in un giaciglio e con un cugino si alternava nella gestione del pascolo.
Non aveva nemici. Non aveva precedenti penali alle spalle, aveva un ottimo rapporto con i suoi familiari e, le indagini condotte dai carabinieri del Nucleo Investigativo, hanno escluso legami con gente pericolosa. Nessun’anomalia su Internet o sui social. Ma solo tanti contatti proprio con Roi. Lì sul posto indicativamente intorno alle 12.55 del 6 aprile del 2014 poteva esserci soltanto il suo datore di lavoro. Lo confermano i tabulati telefonici che agganciano le celle telefoniche dell’uomo in zona (nonostante abitasse proprio a due passi dal luogo del delitto) e l’esclusione di altre piste d’indagine che non hanno trovato riscontri nel corso delle indagini. Neppure un contatto telefonico con un suo amico pochi minuti prima dell’ipotetico orario in cui viene collocata la morte è stato seriamente preso in considerazioni. Le intercettazioni disposte dagli investigatori non hanno portato a nulla.
Roi era posizionato dietro un muro di cinta a vigilare il pascolo. Si trovava ad un’altezza tale che lo sparatore poteva vederlo, secondo la pm. Ad una distanza di non più di 70 centimetri. E rivolto verso Hyrai tanto da poterlo vedere nitidamente. Dopo un primo colpo, l’operaio è stato colpito in fronte da un secondio proiettile che lo ha tramortito facendolo cadere per terra supino per via della forza cinetica del colpo in prossimità del muro di cinta così come l’operaio è stato ritrovato dai sanitari del 118 e dagli investigatori. Senza alcun segno di colluttazione come rilevato dal medico legale e con il telefonino spento probabilmente perché la batteria si è staccata dopo la caduta sulla base di una consulenza affidata all’ingegnera Tania De Benedittis.
Non essendo stato ritrovato il bossolo, non si è poi potuto stabilire con esattezza da quale arma siano potuti partire gli spari. Di certo un proiettile ha attraversato un frigorifero arrestando la sua corsa su un punto del muro ad un’altezza di 91 centimetri. E la posizione in cui è stato ritrovato l’operaio con la traiettoria del proiettile secondo le perizie balistiche coinciderebbero con i fori tracciati sul frigorifero. Una tesi che, di fatto, ha smontato il teorema della difesa sostenuto dall’ex comandante del Ris Luciano Garofano che aveva evidenziato in aula come lo sparatore avesse utilizzato una carabina, ricostruzione priva di fondamento scientifico nonostante argomentazioni difensive sostenute dagli avvocati Giuseppe Romano e Francesca Conte.
E dopo l’omicidio Roi sarebbe sparito. Non avrebbe avuto la delicatezza di informare i familiari dell’operaio dell’avvenuta tragedia. Si mette alla spasmodica ricerca di un avvocato difensore per le strade di paese “disperato per quello che aveva combinato”; il padre fornisce una pista alternativa priva di fondamento quale il simulato furto di alcune pecore e nel corso del processo non ha voluto sottoporsi ad un esame e controesame. E poi gli stessi parenti, intercettati a loro insaputa, avrebbero apertamente parlato di quel brutto vezzo di utilizzare armi e di sparare da parte di Roi.