Ah vicende delle parole! Forse hanno origine dalla nostra mente contorta. La denunciano. Noi tendiamo a svalutare il significato di alcune parole che esprimono, almeno all’origine, principi e valori che reputiamo grandiosi, al punto che nominandoli con la parola che li segnala ci sentiamo euforici, andiamo a testa alta convinti e fieri per il nostro essere uomini, insomma proviamo soddisfazione. Giustizia, uguaglianza, libertà, pace: sono esempi significativi. E sono parole abusate, senza più senso, senza sostanza. Politici, uomini di legge, religiosi, divulgatori, sono maestri in questa malsana operazione di svuotamento.
A volte addirittura tendiamo a frantumarli, i significati, oppure a distorcerli, capovolgerli con l’incoerenza dei nostri comportamenti, delle nostre azioni: ascolto, fiducia, amore; e ancora educazione, per esempio. Non è un caso: queste ultime sono parole semplici a confronto di quelle considerate appena sopra, parole che ci rapportano con l’Altro, gli Altri. Eppure quante volte le prendiamo in prestito dal dizionario lasciando tra le pagine e le righe il loro vero, autentico significato! Perché pur desiderando di stare insieme ai nostri simili, anzi avendo il bisogno di vivere con loro, voglia di fuggire dalla solitudine, non riusciamo a realizzare un contatto funzionale, soddisfacente. Mente contorta, già!
Cerco altre parole, quelle che mi incuriosiscono, se non di più, stordiscono perché il capovolgimento è netto. Una in particolare secondo me esprime in pieno l’incapacità dell’essere umano di assumere allo stesso tempo e fondere – in positivo – oggetto, parola che lo identifica, significato.
L’oggetto in questione è l’organo genitale maschile, che ha due funzioni, pregevoli entrambe tanto da fare tra di loro a gara fino a ingelosirsi l’una dell’altra, funzioni straordinarie nella loro ordinarietà, utilissime all’individuo e alla specie quali sono appunto: benessere e riproduzione. Le parole che identificano questo organo sono tante, ma o sono generiche, quindi poco identificative come: sesso; o possono avere altri significati come: verga, asta, fallo, membro; oppure sono delle metafore, a volte simpatiche, vedi: uccello, pisello, fava, salame; inoltre, come per ogni cosa, ci sono i termini regionali, tanti, e quelli fantasiosi e teneri della mamma e del papà. Ma due soltanto identificano l’organo in questione, una è voce dotta, scientifica, come recitano i dizionari e sarebbe: pene; l’altra, l’unica che tutti capirebbero senza ombra di dubbio, è definita in partenza come volgare: “cazzo”. No, non è una mia esclamazione a questo punto del discorso, è proprio la parola che identifica l’organo maschile. La parola in questione, da studiare.
Il termine unico che chiama in causa l’organo che ha la funzione di vivere e far vivere, dando gioia, è stato in sul nascere bocciato, bollato e poi disperso e frantumato in significati che umiliano l’oggetto stesso. Consideriamone l’uso.
Tanto per cominciare non è solo volgare secondo gli autori dei dizionari, è proprio indicibile. Io ho la scusa che sto lavorando e il mio oggetto di studio è la parola “cazzo” e l’ambito è quello linguistico, altrimenti dovrei scriverlo con l’iniziale appuntata, così: c. In televisione usano un fischio quando il soggetto che parla è scriteriato e se lo lascia sfuggire ( !). Altri usano dei sostituti come cavolo…insomma tabù linguistico. Divieto di nominare. Lo si può nominare ma solo per distruggerlo. Dunque si infierisce. Vediamo come.
Dal semplice modo sgarbato di rivolgersi a qualcuno: “Che cazzo vuoi!” all’espressione più frequente che propone il termine per indicare qualcosa che vuol dire “idiozia”, “corbelleria”, cose senza senso: se uno dice cose senza senso lo apostrofiamo con un “che cazzo dici!”. E con “questa cosa è fatta a cazzo!” intendiamo giudicare un qualche lavoro, un compito fatto decisamente male, che peggio non si può. Alcuni chiamano in causa addirittura il cane, per la caratteristica del suo organo. Il che vuol dire che è tanto il bisogno di svalutare questo organo, che andiamo alla ricerca delle differenze di natura per sottolineare addirittura un errore: “Questa cosa è fatta a cazzo di cane”. E poi ci sono: “Cazzata!”, “Non dire cazzate”, il senso è sempre quello, si usa questo termine per svilire, umiliare, annientare. Non basta: ci sono altre categorie di contenuti negativi. “Quello mi sta sul cazzo” per dire “mi è antipatico”. Per indicare qualcuno che si dà delle arie: “Ma chi cazzo crede di essere!”; e se lo reputiamo un cretino, diciamo: “È un cazzone” oppure “Testa di cazzo”.
Una sola parola indica qualcosa di positivo riconducendoci al termine in questione e sarebbe “cazzuto”, che significa grintoso, aggressivo. Peraltro raramente utilizzata. E un’altra è esclamazione, oppure un modo di dire di uso assai frequente. Se è esclamazione in genere è perché siamo infastiditi.
Possiamo fare una contro prova. Scegliamo un altro organo del nostro corpo, importante, soprattutto che rispettiamo, e mettiamo la parola che lo rappresenta
(occhio, mano, dito) al posto di quella che stiamo analizzando. La frase risulta stupida, buffa. No, non è questione di abitudine. È perché noi ci rapportiamo col pisello in modo diverso da come ci rapportiamo con tutte le altre parti del corpo. Cosa c’è alla base di questi maltrattamenti?
Fino a qualche decennio fa – e chissà se ancora in qualche luogo non sussiste – la parola vergogna-vergogne si utilizzava per indicare i genitali. Sia nel senso: i genitali di cui ti vergogni, sia nell’altro: i genitali di cui dovresti vergognarti. Perché i bambini, in particolare le bambine, che piccolissime non provano vergogna nel mostrarsi nude, a forza di sentir chiamare vergogne alcune parti del corpo si convinceranno che debbono vergognarsi, che sono una vergogna. Ci rendiamo conto? Stiamo parlando sempre del benessere e della riproduzione.
Non è difficile rintracciare l’origine di questi tabù. E non c’è bisogno di ricondurci al passato quando altre parole erano impronunciabili, quando il corpo femminile era protetto, anche perché sarebbe fuorviante. Infatti “la liberazione sessuale” è voluta dal business, che si dimostra così più potente di altri fattori. Per questo ho scelto di osservare la vicenda del termine in questione, perché resta emblematica e i motivi alla base sono semplici. Dopo la testa e il cuore abbiamo lui. Sembra ci sia una grossa differenza: senza i primi due non si vive. E invece se escludiamo il benessere psicofisico, che per qualcuno è un optional, la funzione riproduttiva castrata forse non ammazza l’individuo ma certamente uccide la specie.
Ma il nocciolo della questione è proprio nella funzione che provocatoriamente ho voluto accantonare nelle frasi di sopra. Mi riferisco al benessere psicofisico. Questo tipo di benessere fa paura a chi vuole dominare le coscienze. Il benessere psicofisico rende l’uomo sereno e l’uomo che ha la mente sgombra di sensi di colpa – sereno significa libero da ogni turbamento –, quest’uomo osserva il mondo e scopre la realtà con i suoi occhi ed è in grado di rifiutare quella che altri gli propongono.
di Maurizio Mazzotta, psicologo, scrittore, videomaker
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