Elegante, avvolta in una stola rosa tenue che accende ancor di più il rosso dei suoi capelli. L’abbiamo incontrata così, Claudia Liuzzi, in occasione dell’appuntamento con la Rassegna “SalentoSilente, l’Arte sosta nei luoghi storici” che si è tenuto a Martano nel Palazzo Ducale Chiriatti Corina lo scorso 7 luglio e che proseguirà fino al 31 luglio, in altri suggestivi luoghi del Salento, palcoscenici di opere e di incontri.
Di Claudia Liuzzi ne abbiamo apprezzato l’animo gentile, il fatto di essersi prestata volentieri per un’intervista prima di lasciare la sua terra e raggiungere Milano, dove attualmente vive e lavora. Su di lei si è scritto come di “un’abile mescolatrice di colori e di emozioni”. Per Claudia Liuzzi, infatti, l’arte ha più del viaggio che della semplice forma di comunicazione, attraverso il quale trasmettere per l’appunto emozioni molto forti e passionali. Attrice di teatro e pittrice, realizza opere di genere astratto, utilizzando diversi materiali, dalla seta alle fibre di vetro, dal catrame ai petali, dagli acrilici alla terra. Quella stessa terra cui è indissolubilmente legata la sua anima e che tanto le manca.
Vivendo a Milano, come mai hai scelto di venire proprio nel Salento?
Sto dedicando il lavoro artistico alla ricerca delle mie radici. Per questo ho sentito il forte desiderio di dover tornare in Puglia, proprio per assaporare, nutrirmi e bere dalle mie origini perché come diceva Bert Hellinger, “senza radici non si vola”. Mi sono sempre interrogata sul senso della vita sin dai primi anni di età. Spesso mi domandavo verso dove stessi andando, quale e dove fosse la meta. Questi sono i temi fondamentali della mia esistenza e da qui parte la mia ricerca. Sono tornata quindi nella mia terra per affondare le radici dell’anima e se non penetro la terra non posso di conseguenza generare radici nell’universo.
Cos’è che ispira le tue opere?
Loro nascono sempre dalla poesia. Scrivo prima dei versi e poi li trasferisco sulla tela. In effetti sembra strano, ma a me viene naturale riuscire in questo, riconoscendo in tutte le mie opere il verso che è nato. Non sono altro che la copia perfetta.
Puoi provare a spiegarci come fai a riconoscere la poesia in un quadro astratto?
Dipingendo l’anima delle cose e la scrittura non è altro che la traduzione dell’anima. In realtà, non è mai facile spiegarlo a parole, ma il tratto dell’anima per me è comunque riconoscibile.
Quando è nata la tua passione per l’arte?
Ero molto piccola, mio padre per tenermi calma spesso mi dava fogli e matite per farmi disegnare. Riproducevo quasi sempre la frutta. Durante la notte, invece, mi sentivo in qualche modo libera di potermi esprimere e cominciai a realizzare qualcosa di diverso. La produzione divenne talmente importante che tappezzai le pareti della mia stanza. Ricordo che un giorno mio padre si accorse di quello che stava accadendo e strappò via tutto dalle pareti, perché secondo il suo punto di vista le stavo deturpando. Per me, quello fu un momento doloroso, tant’è che smisi di toccare le matite.
Come ti sei riavvicinata allora alla pittura?
Avevo, credo, 19 anni, in quel periodo frequentavo l’Accademia d’Arte Drammatica a Roma. Durante i preparativi per uno spettacolo, all’improvviso, lo scenografo si assentò e, visto che non c’era più molto tempo, decisi di abbozzare io stessa la scenografia. Ripresi i pennelli e le chine e da allora non le lasciai più. Ricominciai a realizzare ritratti, finendo poi per trasfigurare la realtà. C’è stato anche un momento in cui dipingevo cieli di notte con la luna.
Questo ha a che fare per caso con la tua infanzia, quando di notte cioè ti sentivi artisticamente più libera?
In qualche modo penso di sì. Mi sento molto legata alla luna e ne subisco le sue influenze, quando è piena, infatti, sono particolarmente creativa. Secondo una credenza popolare, “quando la luna cambia nascono bambini” e anch’io ho cominciato a partorire le mie creature. Per questo le sono molto grata.
In che modo sei arrivata all’astrattismo?
Dopo il cielo notturno, ho iniziato a dipingere mari in tempesta, poi sono arrivata a non voler spiegare più nulla. Nelle mie opere ho voluto rappresentare l’anima delle cose e delle persone, lasciando libera l’immaginazione di chi le avrebbe guardate. Come se, attraverso la tela, il fruitore potesse partire per un viaggio. Mi fa sorridere il fatto che alcuni amici mi dicano di vedere nelle mie opere porti e navi, quando poi non era nelle mie intenzioni ritrarli.
Lo scorso 1 luglio, in occasione dell’inaugurazione della Rassegna “SalentoSilente”, hai esposto l’opera “Granaio azzurro”, ce ne vuoi parlare?
È un’opera che ho dedicato alla mia terra e al padre di un mio carissimo amico d’infanzia che purtroppo non c’è più e che faceva il contadino. “Granaio azzurro” rappresenta l’unione tra il cielo e la terra, il luogo in cui vengono custoditi i segreti del cuore, dove trama e ordito hanno tessuto i solchi della perdita e della rinascita, dove il tempo s’è smarrito. È la gratitudine profonda per le preziose e sapienti mani dei contadini. È il luogo della riconciliazione, il nome del padre, della madre e della veste che mi è stata data, il luogo in cui mi rifugio per ritrovare l’azzurro delle parole, il canto dell’anima e il suo sangue. Ecco, credo di averti detto proprio tutto dell’opera. Non mi piace mai parlare della tecnica, lo trovo così privo di poesia.
Nella tua carriera artistica, ti senti di dover ringraziare qualcuno in particolare?
Si, devo molto al maestro Alberto Burri. Quando vide le mie opere mi disse di partire immediatamente per New York. Inizialmente la presi male, perché pensai fosse un modo gentile per dirmi di dedicarmi ad altro. Secondo il suo punto di vista, lì mi si sarebbero spalancate le porte, ma ero molto giovane e il teatro occupava il primo posto nella mia vita. Ora, però, mi sento pronta.
Quali sensazioni hai provato nel ricercare le radici della tua vita?
È stato un ritorno a casa in tutti i sensi. Ho scritto in Puglia per poi ritornare a Milano e trasferire i versi sulla tela. È stato bello potermi sentire figlia di questa terra. Vorrei ritornarci, per lavorare proprio con la terra rossa, quella che c’è in campagna. Per me, la terra ha solo questo colore, come se fosse “viva”, esprime vita. In tutte le mie opere c’è sempre un tratto di rosso, come per dire: “il nostro passaggio sulla terra e che siamo fatti della stessa sostanza di cui è fatto l’universo”.
Dopo questa chiacchierata, ringraziamo Claudia Liuzzi, augurandole di tornare presto nel Salento.