Un bel giorno di sole Gemian passeggiava per una stradina di montagna, vicino ad una piccola cascata.
Il corso d’acqua era così limpido, che gli occhi di Gemian non potettero fare a meno di rifletter visi dentro e di ammirare quel fondale così puro e così vivo.
Impossibile non desiderare dissetarsi in quelle acque, assaporarle e rinfrescarsi un po’.
Mentre estraeva le sue braccia dall’acqua gelida, lo sguardo di Gemian si posò su una pianticella lì vicino, quasi avvizzita.
“Poverina! È strano però, ha tanta acqua qui vicino e sembra non riesca a dissetarsi. Va bene, l’aiuterò io”.
Detto fatto! La fanciulla, pur avendo freddo per quell’acqua così fresca, immerse le sue mani a mo’ di ciotolina, ne raccolse una piccola quantità e corse subito dalla piantina bisognosa di aiuto.
Non appena versò l’acqua, la creatura parve rinascere e spuntò un fiore, tutto bianco, molto simile ad una bellissima e fragrante magnolia.
“Che bella!” – esclamò Gemian – “Dovevi avere proprio sete. A volte basta così poco per essere felici!”.
“Hai detto proprio bene piccina, basta proprio poco!”.
Gemian, udendo quella voce, si spaventò non poco e diede un balzo indietro. Sapeva di essere sola, non si era avveduta di essere osservata da qualche istante.
“Non preoccuparti, scusa se ti ho spaventato. Dovevi essere molto assorta. Ti piacciono i fiori vedo!”.
Chi le parlò, era un vecchietto dall’occhio vispo e saggio, uno che doveva averne viste e passate veramente tante nella sua vita. Abitava non molto lontano da lì, ed ogni giorno andava ad attingere acqua a quella cascata, diceva di averne bisogno.
“Si, non fa nulla. Mi presento: mi chiamo Gemian. Non sono solo i fiori a piacermi, ma anche gli animali, i corsi d’acqua, la natura, tutto ciò che è puro, semplice, che dà gioia agli occhi e al cuore per la sua verità e la sua semplicità.”.
“Hai ragione, sono le cose più belle! Prendi quel fiore, è per te!”.
“Non potrei mai, se lo cogliessi, gli toglierei la vita e credo di avergliela appena salvata. Questa è già una grande gioia”.
“Sei proprio bella, sai?”.
“In che senso?” – chiese Gemian, scostandosi un po’. In fondo, non conosceva bene quella persona.
“Non aver paura, non ti faccio nulla, è solo un complimento, nel senso che sei bella e pura come quel fiore, ed hai pronunziato una grande verità”.
“Addirittura!?” – replicò lei un tantino stupita.
“Si, è così. Hai salvato la vita ad una creatura, non te ne vanti, ne sei contenta e non la trattieni per te. È come dico io, sei pura. E dimostri rispetto per tutti, anche per cose che altri non si farebbero il minimo scrupolo di calpestare o strappare per propria vanagloria o per il semplice piacere di farlo. A te può sembrare strano, ma è così. Posso almeno farti un regalo?”.
“Ma neanche mi conosce! Sono lusingata, ma non posso accettare”.
“Perché?”.
“Non ho meriti speciali e non voglio nulla. Solo un po’ di pace e di serenità. È per questo che oggi sono venuta qui”.
“Ed è appunto quello che io voglio darti. Facciamo così, non cogliere il fiore, ma fissalo. Fissalo intensamente e concentrati su ogni petalo, assaporandone colori e profumi. Inebriati del suo profumo e pensa, pensa intensamente a quello che ti suggerisce e al desiderio che ti ispira”.
Gemian, un po’ dubbiosa, si decise: “Va bene!”.
Si sedette, col suo bel vestitino bianco dai ricami blu e coi suoi bei capelli bruni bruni e lisci, gli occhi quasi neri, di fronte a quel fiore e fece ciò che il vecchietto le aveva suggerito.
Il primo petalo, bianco come gli altri, ma di un bianco splendido, la riportò alla sua infanzia, alla sua amata nonna, a tutti quelli che le erano stati vicino e l’avevano aiutata a diventare la bella persona che era.
D’un tratto, le apparvero tutti lì, non come li ricordava lei, ma per come erano adesso, eccezion fatta, naturalmente, per chi aveva reso la sua anima a Dio.
Sia lei che gli altri, erano meravigliati. Non sapevano come, ma si trovavano lì, con lei, che li abbracciò tutti, mentre una lacrima le scendeva, velocemente, giù per il viso.
Fu allora, che comprese la meraviglia del regalo che l’anziano signore le faceva.
“Bene, vai avanti e voi …” – rivolgendosi agli altri – “ … statele vicino! Ha bisogno di voi, perché ora è sola”.
Gemian ritornò vicino al fiore e fissò il secondo petalo, riempendo il suo bel naso, non bellissimo, ma ben fatto, del suo odore.
Stavolta, il pensiero andò al suo bel cagnolino, che non aveva più, perché morto ormai da tanto e per il quale lei aveva nutrito sempre un grande affetto.
Anche lui le fu concesso di vedere e di sapere che, anche se non poteva rimanere, le voleva bene e le era sempre vicino, ma non poteva trattenersi a lungo.
Qui lo sfiorò appena, perché mentre lo abbracciava, cominciò a svanire un pochino, e qui le lacrime si moltiplicarono.
“Gli volevi molto bene, vero?”.
“Si, gliene voglio tanto ancora adesso, e sono convinta che lui sia stato l’unico a dimostrarmi un amore vero”.
Il terzo petalo la portò ad un suo corteggiatore, un ragazzo che l’aveva sempre trattata come una principessa. L’aveva notata subito, quando lei stessa ancora non si piaceva molto. La cosa era partita come simpatia e scommessa, ma poi aveva finito con innamorarsene davvero. Solo che lei, non provando la stessa cosa per lui, era stata sincera e glielo aveva detto fin dall’inizio, non lo aveva mai limitato.
Questa era una caratteristica di Gemian: quando amava qualcuno, lo amava veramente. Non lo limitava, non lo soffocava, non lo controllava. Lo lasciava libero di esprimersi e, magari, se si accorgeva di non essere ricambiata, lo aiutava anche a conquistare la persona che gli piaceva, perché amava appunto.
Proprio la persona che aveva aiutato in questo senso, le apparve col quarto petalo, insieme alla fidanzata attuale e, per qualche secondo, fu riportata nella chiesa dove questa grande verità d’amore le era stata rivelata nel silenzio.
Dopo qualche minuto era di nuovo vicino al fiore e la folla accanto a lei aumentava.
Il quinto petalo, le portò alla mente tutte quelle persone che avevano avuto problemi, difficoltà, persone sofferenti o che le avevano lasciato qualche verità, ma per i quali lei aveva potuto fare, suo malgrado, ben poco; ed una, in particolare, che lei ammirava tantissimo sia come persona che come artista e che le aveva sempre fatto spuntare dei bei sorrisi sul volto, anche nei momenti più bui. Sembravano nati per aiutarsi a vicenda, pur conducendo ognuno la propria vita, una persona di una genuinità e di una schiettezza meravigliose, che aveva avuto pur lui dei problemi, superati con tanto impegno, fede e sostegno. Non uno privo di difetti, ma una persona con la “p” maiuscola.
Anche questi si aggiunsero agli astanti.
Arrivata al sesto petalo, si addormentò, riversa su un fianco, col braccio di quello stesso lato verso l’alto, quasi fosse svenuta.
Semplicemente, le erano apparsi nuguli di persone, troppe, tutte insieme, fin troppe emozioni e tutte, in qualche misura, le avevano fatto del male, tranne una che lei ricordava con più affetto, tutto meno che il volto. Ogni volta, da quando l’aveva definitivamente lasciata, dopo aver ricomposto i cocci in cui l’aveva trovata, si sforzava di ricordare le cose belle e piangeva, perché non le veniva più alla mente il suo viso e sapeva che vederlo in foto non era la stessa cosa.
Erano apparsi anche quelli che le avevano rivolto frasi strane, critiche aspre e distruttive e, nel sonno, pareva avesse avuto una fitta al cuore. Erano ricomparsi episodi spiacevoli, periodi complicati, tutto quello che lei aveva sempre, con tanto coraggio e fede superato e, quasi sempre, da sola.
Fu troppo per lei.
Il vecchietto, vedendo che soffriva, la risvegliò, versandole qualche goccia d’acqua sul viso, come lei aveva fatto col fiore e, tutti coloro che aveva ricordato dei buoni, erano lì attorno a lei, a sperare che sorridesse come sempre, anche quando dentro di sé era triste, e stesse bene.
Sull’altro fronte, si era materializzata tutta quella gente che aveva visto col sesto petalo, anche quello di cui non ricordava il viso, che, però, si era discostato dagli altri, consapevole di essersi comportato non sempre bene con Gemian.
Tuttavia, l’acqua non fu sufficiente a risvegliarla, era lei che versava lacrime e, per ogni lacrima che cadeva sul terreno, spuntava un roveto che la circondava e che permetteva solo a chi le voleva bene di avvicinarsi.
In particolare, un suo amico, che per lei era sempre stato come un fratello maggiore, le sussurrò: “Non vergognarti di piangere, sfoga il tuo dolore!” e poi fece segno al vecchietto di avvicinarsi.
Il vecchietto chiese a tutti, buoni e meno buoni, di allontanarsi, anche se i primi erano diffidenti, e poi lui stesso aveva chiesto, prima, di starle vicino.
I rovi, quando l’anziano signore si avvicinò, si inasprirono inizialmente, ma, quando lui cercò di accostarla un po’ più vicino al fiore, allentarono la loro morsa e Gemian parve riprendere i sensi.
“Che mi è successo? Aaah” – portandosi la mano al cuore.
“È successo che ti sei sentita un po’ male, ma ora va meglio, vero?”.
“Si, ma mi fa ancora male. Perché non penso nulla col settimo petalo vicino?”.
“Perché, pur essendo l’ultimo, ti riporta a qualcosa di attuale”.
“Cioè? Aveva detto che il suo regalo mi avrebbe portato pace e serenità, perché soffro allora?”.
“Perché io ti ho giudicata male e ho fatto sì che anche altri sparlassero di te, per salvare il mio orgoglio e la mia reputazione”.
“Lei? Ma se mi ha vista oggi per …” – arrestandosi di colpo, non appena i suoi occhi si posarono sul viso così avvizzito, che era accanto a lei, riconoscendo i suoi.
“No, non ci credo! Mi ha drogata con quel fiore! Mi faccia tornare normale!”.
Lui fece segno, a tutti quelli che si erano allontanati, di rimanere dove erano, nel bene e nel male, la cosa riguardava solo loro due.
“Non sei stata drogata. Sono io, la persona che più ti ha fatto soffrire e che tu, comunque, porti nel cuore”.
“Cosa vuoi? Farmi piangere ancora? Neanche qui posso avere pace?”.
“No, non è questo. Sono qui per chiederti scusa, per come ti ho trattata e per quello che ho sempre detto in giro di te, e che non era vero, perché sei pura, schietta, semplice e mi hai amato davvero. Ma io ti ho fatta soffrire. Con le ingerenze di mia madre, degli altri, coi miei tradimenti, le frasi cattive, e da ultimo, ancora oggi, con i miei ultimatum, la mia incapacità di esserti vicino e di comprenderti, anche nei momenti difficili, e le parole che ti ho detto, che ti hanno ricondotta a remoti dolori e dispiaceri, che non ti hanno fatta sentire amata e che, giustamente, ti hanno indotta a dirmi di no”.
Lei, incapace di qualsiasi risposta, in quel momento sapeva solo fissarlo in viso, corrucciata, mentre quello che era rimasto in disparte da tutti, rifletteva, a sua volta, sul male che anche lui le aveva procurato, senza dir nulla, in vista di un discorso che, per il momento, era rinviato.
L’altro, continuando a starle accanto e a mantenerla semiseduta, proseguì: “Avevi ragione, non ho compreso le tue ragioni, la tua lettera, che hai atteso a scrivermi, affinché ti calmassi, per le cattiverie che ti avevo detto e per non essere troppo aggressiva a tua volta”.
“Quel giorno …” – riprese – “… ho ripromesso a me stesso di trovarmi un’altra, per ferirti per avermi rifiutato, perché eri stata fidanzata con un altro, dopo che ti avevo trattata male; perché non volevi, o meglio, e solo ora l’ho compreso, non potevi uscire con me, per problemi centomila volte più seri delle cose che ti dicevo. E poi, dopo essermi fidanzato, ho fatto in modo di fartelo sentire e di fartelo sapere, di farti udire che avevo dei progetti con questa persona, che io avrei costruito un futuro e che tu, invece, essendo una ragazza, e ormai grandicella, no. Tu saresti rimasta sola.
Qualcosa, però, mi si è ritorto contro. Avevi ragione. Sono stato con lei, ho fatto dei progetti e una vita con lei, ma nel cuore avevo te e non ero felice”.
“Veramente?” – replicò lei, a metà tra imbronciata e intenerita.
“Si, perché non contento, ho illuso me stesso di amarla e che non si trattasse di un dispetto nei tuoi confronti, per dimostrare a te e al pubblico di persone, di cui ho sempre cercato l’approvazione e di fronte al quale volevo riabilitare la mia reputazione, perché tu, giustamente, rispondevi ai discrediti gratuiti nei tuoi confronti, che avessi reagito e non mi importasse più nulla, veramente, di te. Insomma, volevo fartela pagare in qualche modo. Hai sopportato tante maldicenze e sguardi torvi, atteggiamenti ipocriti, per colpa mia.
Eppure, tu mi hai sempre detto di stare lontano da loro e che la nostra storia era solo nostra e non dovevo permettere a nessuno di intromettersi o di porre domande indiscrete. Ti ho messa al centro di pettegolezzi indesiderati e rovinato tutto”.
“E ora ne sei consapevole?” – domandò lei titubante.
“Si, ed anche del bene che tu mi hai realmente voluto. Infatti, non hai neanche cercato di cambiarmi o di rendermi un cavalier servente. Hai rispettato quello che ero, il mio essere, io no”.
“E come mai me lo dici solo oggi?” – un po’ dispiaciuta, dopo essersi ripresa un po’, mentre lui le teneva la mano.
“Perché la mia grettezza, la cattiveria e la mancanza di sincerità, sono state la mia prigione e mi hanno invecchiato il cuore, l’anima, il volto, le fattezze. Un angelo mi ha trasformato in quella pianta che tu oggi hai visto e alla quale hai salvato la vita e mi ha detto che ti avrei potuto parlare solo se tu avessi avuto amore nei miei confronti e solo se realmente pentito.
Se avessi colto quel fiore, mi avresti ucciso. Quel vecchio sarebbe morto accanto a te! Quando ti ho detto di non coglierlo, ma di fissarlo, non volevo influenzarti, ed ero sincero. Diversamente, il resto non sarebbe accaduto”.
“Oh mamma!” – esclamò lei spaventata, rizzandosi sulla schiena e stringendo forte la sua mano.
“Io si, ce l’ho con te, ma non vorrei mai che ti accadesse qualcosa di male. Sono convinta che le cose si possano chiarire, ma se non ti ho più parlato, né guardato, è stato a seguito delle tue scelte, delle tue parole, dei tuoi atteggiamenti. Se mi avessi veramente amata, non mi avresti mai trattata così. Vedi? Ci rimango male anche adesso a ripensarci” – proseguì lei.
“Lo so, e so anche che chi non ha voluto strappare la vita ad un fiore e vive nella semplicità, ha sentimenti sinceri. Ora, la mia giovinezza dipenderà da te. Se tu …”.
L’angelo qui riapparve, ed interruppe il dialogo tra i due.
“Non ti è permesso influenzarla” – anche se lei aveva già capito cosa voleva dirle e lo guardò teneramente.
Poi, mentre l’angelo lo portava via, riconducendolo al suo posto, al suo fabbisogno quotidiano, lei lo fermò un istante e gli disse: “Non sono in grado di decidere, devo riprendermi da quei dolori che tu e l’altro mi avete inferto, ho bisogno di ricostruire tutto con voi e di capire se posso fidarmi davvero. Certo, quello che mi hai detto è molto importante e lo porterò sempre nel cuore. Ma devi aspettarmi e avere pazienza. Ci vorrà tempo”.
Lui le sorrise e le rispose: “Lo farò, te lo prometto. E ti prometto anche …” – mentre lei stava per chiederglielo – “… ti prometto che non permetterò più a nessuno di intromettersi tra noi, mai più!”, mandandole un bacio volante e chiedendole di ringraziare quel suo amico che gli aveva permesso di avvicinarsi.
Poi l’angelo sparì con lui lungo il cammino, mentre l’altro che era in disparte cominciò a camminare anche lui, riflettendo e lei li guardava.
Iniziava quel tempo.
Fine
Ogni riferimento a fatti, persone, situazioni, è puramente casuale