Tre ragazzi, destinati ad incrociare le loro vite, nacquero tutti insieme, nello stesso ospedale.
Le infermiere li adoravano, erano bellissimi, pulitissimi, splendidi di tutto punto, tanto che decisero di soprannominarli “Lindo”, “Bello” e “Pinto”.
Questa idea piacque così tanto ai genitori dei bambini, che decisero di mantenere loro questi nomi.
Per un po’, almeno finché rimasero in ospedale, le tre coppie si frequentarono anche per un certo arco di tempo, ma, poi, ognuna perse le tracce dell’altra e da allora trascorsero circa venti anni.
Fermi ad un semaforo, ormai rosso da più di sessanta secondi, gli automobilisti e i conducenti di autobus, motorini e di ogni altro mezzo di trasporto, iniziarono a strombazzare, a lampeggiare fari, a segnalare, in ogni modo, a chi era in testa alla fila, di procedere.
Questi, per tutta risposta, rimase fermo, impassibile.
“Ma che vogliono? Non pretenderanno che commetta un’infrazione. Poi, finché scatta il semaforo, voglio osservare bene bene se sono a posto. Non voglio fare brutta figura al casting che mi aspetta”.
“Senti coso!” – inveì un automobilista – “Ci muoviamo o no? Ormai è palese che il semaforo è bloccato, o ti devo spostare io?”.
“Innanzitutto, moderi i termini. Ogni cosa può essere chiesta gentilmente, poi … non vede che sono occupato? A questo semaforo c’è anche il controllo delle infrazioni e della velocità, non pretenderà che mi inviino un verbale a casa? Piuttosto, chiamiamo i vigili urbani”.
“Ok, ti sposto io! Però, non voglio sporcarmi le mani” – e lo diceva non in senso figurato, ma letteralmente. La sua auto era la più pulita che potesse esserci al mondo, luccicava persino!
“Oh, basta! I vigili ora li chiamo io!” – esordì un terzo, intromettendosi.
Era un tipo davvero singolare, vestito di tutto punto e col viso e la manicure davvero molto curati, la voce impostata e profonda, era impossibile non fermarsi a guardarlo.
“Senti da che pulpito viene la predica. Da che eri fermo ti sei aggiustato solo le sopracciglia!” – ribatté l’automobilista di prima, arrabbiato più che mai.
Intanto, la coda formatasi dietro i tre, aveva realmente perso la pazienza.
Probabilmente, qualcuno aveva avvertito il comune del guasto e dalla centralina avevano provveduto a ripristinare la normalità, alla quale non era possibile tornare se quei tre non la piantavano di discutere.
Qualcuno pensò bene di chiamare la polizia, ed ecco che intervennero le forze dell’ordine.
Visto che non volevano ragionare, i tutori dell’ordine furono costretti ad invitarli a seguirli in centrale per dirimere la questione.
“No che non posso!” – disse il ragazzo in testa alla coda – “Come faccio col casting?”.
“Gliela facciamo noi una bella foto, non si preoccupi. Poi, risolta la faccenda, potrà fare tutto quello che vuole”.
“Lo sistemo io come si deve! Guarda se per colpa di questo la mia giornata deve proseguire in centrale” – ribatté il secondo.
“E ci resterà parecchio se non la smette” – ribatté il poliziotto.
“Ma almeno c’è un posto per sistemarsi un po’?” – chiese il terzo.
“Tutto lo spazio che vuole, stia tranquillo”.
Alla fine, dovettero intervenire altri tre vigili, ma solo per guidare i mezzi di quelli, mentre il loro collega li faceva salire tutti sulla sua auto.
“Bene signori!” – esordì il questore – “Chi mi vuole riassumere cosa è successo?”.
Inutile dire che partirono tutti e tre all’attacco, ognuno con il proprio modo di fare, così caratteristico, che al loro interlocutore venne spontaneo dire: “Insomma, signori Bello, Lindo e Pinto, la smettiamo o no? Che bisogno c’è di fare tanto rumore per una questione di buon senso?”.
A queste parole, i tre si zittirono all’istante, chiedendogli in coro: “Come fa a sapere che mi chiamo così, se ancora non mi sono presentato?”.
Dal coro, i tre passarono a fissarsi in volto, poiché ricordavano una storia curiosa narratagli dai genitori.
“No! Non può essere! I miei vicini di culla!” – esclamò Bello.
“I miei gemelli astrali” – rispose meravigliato Lindo.
“I miei fratellini!” – ribatté Pinto.
“No, questo no! Non è esatto!” – replicarono i due.
“Lo so, ma le altre alternative le avevate prese voi e io che dovevo fare? Copiare?”.
“No, semplicemente essere voi stessi e smetterla di litigare, tanto questa bella multa la pagherete tutti e tre. Vicini pure in questo, contenti?” – concluse il comandante accommiatandosi.
I tre, ormai liberi da questa incresciosa situazione, proseguirono il loro discorso fuori dall’ufficio, lieti di essersi ritrovati e dimentichi dei modi bruschi usati.
“Mamma mia, come sono in ritardo!” – esclamò ad un tratto Bello, guardando l’orologio.
“È per il casting, vero? Credo sia colpa mia” – ribatté Lindo.
“Forse io posso aiutarvi. Stavo andando al solarium, ma posso rimandare. I veicoli ce li restituiranno a momenti, no? Tuttavia, se è troppo tardi, io ho una moto parcheggiata sotto casa, abito vicinissimo. Se mi date cinque minuti, la vado a prendere. O, se preferite, potete venire con me”.
“Delle due meglio la prima. Per me è tardissimo, però … sei sicuro? In tre su una moto!”.
“Che sarà mai? Per una volta! Basta che sia pulita, anzi! Guarda, te la lucido io, ché ho un prodotto formidabile!”.
“Ok, sbrighiamoci però!”.
Detto, fatto! Dopo circa dieci minuti, i tre erano in sella alla moto e stavano raggiungendo, sereni, la sede del casting, ad un’ottima andatura.
Poiché i caschi disponibili erano due, Bello, per non schiacciare la sua capigliatura e non correre rischi, si collocò al centro fra gli altri due.
Forti del loro entusiasmo, non si avvidero di una pattuglia con autovelox, nascosta verso un vecchio casolare sulla strada.
Giunti al casting, anche se ormai tardi, raccontando la loro storia, convinsero gli esaminatori a provinare comunque il ragazzo.
Fu un successone! Guarda caso, doveva pubblicizzare un’automobile.
Poiché al seguito c’erano anche un lucido e dei prodotti cosmetici per uomo, furono assunti anche gli altri due.
Ovviamente, i tre erano contentissimi, così giovani, belli, curati, puliti … ma con la coscienza sporca!
Infatti, di lì a poco, giunse il comandante che li aveva trattenuti in questura.
“Toh, chi si rivede!”.
“Eh beh! Come recita il detto: <<Chi non muore …>>” – rispose Lindo.
“Che fa, allude?” – ribatté l’altro.
“Ma no, gli sarà venuto in mente così, per associazione!” – replicò Pinto – “Lo perdoni”.
“Mente per mente … ora che ricordo, ero venuto qui per commissionare uno spot per la sicurezza stradale, su ordine dei miei superiori. Mi sovviene anche che, in centrale, è sopraggiunta una foto con tre tizi in sella ad una moto, di cui uno senza casco, che hanno oltremodo oltrepassato i limiti di velocità e somigliano proprio a voi tre!”.
“Chi? Noi? Noooo! Si sbaglia!” – negò Bello – “La lezione di oggi ci è bastata”.
“Chissà! A volte occorrono le ripetizioni”.
“Invece no” – intervenne la direttrice del casting – “Sa, questi tre signori sono stati bravissimi. Che ne direbbe se ingaggiassimo loro per lo spot che era venuto a commissionarci?”.
“Se per voi va bene, per me non ci sono problemi, ma … ad una condizione!” – sussurrandola all’orecchio della signora, mentre l’entusiasmo dei tre diminuiva clamorosamente.
Dopo circa un mese, in tv trasmisero lo spot con l’immagine dei ragazzi, con ben impressi dei segnali di divieto sulla condotta da loro tenuta, con la massima approvazione dei loro genitori, pagato con i soldi dell’ennesima multa versata da quegli ex bambini, Lindo, Bello e Pinto.
Belli, Lindi e Pinti si, ma non così tanto nell’anima.
Fine
Ogni riferimento a fatti, persone, situazioni, è puramente casuale