Belli, Bravi, Bis. Anzi tris, visto che questa spaziale Spagna è al suo terzo trionfo consecutivo tra Europei e Mondiali.
Sono troppo forti per tutti, si è detto al termine della finale di Euro 2012 in cui gli uomini di Del Bosque hanno massacrato l’Italia. Troppo forti, imbattibili, l’Italia ha fatto il massimo e di più non era pensabile fare contro una squadra come la Spagna.
No. Troppo facile.
Troppo facile liquidare così questa finale. Troppo banale dichiararsi impotenti di fronte alla superiorità iberici. Perché un passivo di 4 gol non può essere figlio solo della forza degli avversari ma deve essere anche il frutto di qualche magagna tecnico-tattica che ha spianato la strada alle furie rosse, e che varrebbe la pena approfondire.
Senza commettere lesa maestà, alla luce di quello che la partita di Kiev ha impietosamente mostrato, credo si possa affermare che ieri Cesare Prandelli non ci ha capito granché.
Ha mandato in campo elementi come Chiellini e Cassano palesemente in riserva e per di più minati da acciacchi che hanno irrimediabilmente compromesso le loro prestazioni. Ha riproposto la stessa identica squadra che ha battuto Inghilterra e Germania, senza pensare che qualche variazione tattica avrebbe potuto essere utile per arginare l’onda spagnola.
“Eravamo troppo stanchi per reggere il confronto”, ha detto a fine partita il ct per giustificare la disfatta, ammettendo che gli 11 schierati ieri non ne avevano più e che un pizzico di turn over dopo le battaglie nei quarti e in semifinale andava preso in considreazione. Ma Prandelli forse aveva dimenticato, nei giorni che hanno preceduto la finale, che a formazione non l adecide il destino cinico e baro ma il ct e che gli era stato permesso di convocare 23 giocatori non perché si doveva riempire il pullman ma perché avrebbero potuto giocare tutti e dare una mano alla squadra. Non si spiega altrimenti il totale accantonamento di gente come Nocerino, protagonista nel Milan vicecampione d’Italia, come Borini, attaccante capace di dare brio ad un reparto asfittico, come Giovinco, arrivato a Euro 2012 carico a mille dopo una stagione super, o come Diamanti stesso che nei turni precedenti aveva già dimostrato di essere all’altezza.
Gente fresca a cui il ct ha preferito i titolarissimi come fossero un dogma immutabile, salvo poi recriminare sulla stanchezza degli stessi. Quanto meno contraddittorio.
Ma il punto massimo dell’incomprensibilità prandelliana ha un nome e un passaporto: Thiago Motta. Per tutto l’europeo l’oriundo del PSG è stato per Prandelli una masochistica ossessione sublimata dal cambio nella finale che ha tolto dal campo un Montolivo ancora in piena efficienza per far spazio all’ex centrocampista di Inter e Genoa. Una sostituzione tanto inutile quanto dannosa il cui senso sfugge a tutte le menti umane che hanno mai visto una partita di calcio: a cosa dovesse servire l’ingresso di Thiago Motta, centrocampista sostanzialmente difensivo, sul 2-0 per la Spagna resta un mistero soprattutto se si considera che quello era l’ultimo cambio, che mancava mezz’ora al 90′ e che sarebbero rimasti per sempre in panca tutti gli uomini offensivi potenzialmente utili per un forcing finale, come Giovinco, Borini e Diamanti. L’infortunio dell’italo-brasiliano dopo appena 5 minuti è stata forse una punizione divina.
Ecco, sarebbe stato bello chiedere conto a Prandelli di questo cambio, e, tornando indietro, sarebbe stato bello chiedere al buon Cesare di spiegare la totale fiducia a questo cilicio venuto dal Brasile che, o da titolare o da prima alternativa, è riuscito sempre inspiegabilmente a trovare spazio. Al posto delle seimila domande su Balotelli, sul sorriso di Balotelli, sulla cresta di Balotelli, sul labiale di Balotelli e sulle fidanzate di Balotelli, sarebbe stato utile capire perché il ct non è riuscito, quando serviva (contro la Croazia ad esempio), a cambiare in corsa la faccia della squadra limitandosi a cambi scontati, quando ci è andata bene, e paradossali, quando ci è andata malissimo.
Inutile aspettarsi questi quesiti dagli inviati di questa RAI versione Istituto Luce, subito pronti a scappellarsi davanti a Prandelli “per l’Europeo comunque straordinario”, pronti ad esaltare le già ultranote doti spagnole e incapaci di sollevare un minimo appunto alla gestione azzurra della finale.
Che la Spagna fosse superiore a tutte le squadre del lotto si sapeva dall’inizio del torneo, anzi da prima, ma questo non significa che sia giusto consegnarle la coppa senza giocare. Il calcio è bello proprio perché non sempre vince il più forte e noi, nella finale di ieri, avevamo il dovere di provarci con tutte le carte a nostra disposizione. Invece resta la sensazione che di carte l’Italia ne abbia giocate pochissime e che il nostro potenziale sia rimasto almeno parzialmente inespresso.
Per battere la Roja (come per battere il Barcellona) serve essere al massimo della forma, serve azzerare gli errori, serve avere la dea bendata dalla propria e soprattutto serve che loro incappino in una giornata storta. La Spagna di ieri forse avrebbe vinto comunque, ma non era una squadra imbattibile: senza Villa in attacco la selezione iberica si è dimostrata meno devastante rispetto al passato, l’Italia stessa l’ha fermata sul pari nella gara d’esordio, la Croazia l’ha fatta tremendamente soffrire nel terzo match del girone e in semifinale solo i rigori le hanno consentito di spuntarla su un puntiglioso Portogallo. Ieri dunque si doveva provare a batterla, invece abbiamo mollato prima del fischio di’inizio. Se in campo va l’Italia peggiore possibile per gli spagnoli conquistare la coppa diventa un giochino da ragazzi. Ieri è stato tutto troppo facile per i nostri avversari anche grazie a nostre evitabili mancanze.
Detto questo è evidente che nel complesso Prandelli ha ottenuto un risultato eccezionale, non solo per aver portato l’Italia ad un passo dal trionfo, ma soprattutto per aver fatto risorgere la nazionale dalle ceneri della gestione Lippi. Questo è e resta un merito assoluto di Prandelli che però non è esente da errori. Sottolinearli dovrebbe essere il dovere di un giornalista, senza per questo dover essere tacciato di antipatriottismo: se è stato giusto evidenziare i meriti di Prandelli nella preparazione della sfida con la Germania, è altrettanto giusto criticare con onestà le scelte del ct nella finalissima di Kiev.
Ci ha pensato comunque lo stesso Prandelli nella conferenza stampa di chiusura ad ammettere i suoi errori: “Non ho avuto il coraggio di rivoluzionare la squadra per la finale, ho voluto aver rispetto per il gruppo che ci ha portato in finale”. Appunto. Ce ne eravamo accorti tutti, tranne quelli della RAI.