Le Feste patronali sono indubbiamente uno dei fiori all’occhiello del Salento, permettendogli, negli anni, di aprirsi sempre più al turismo con un occhio costante alle tradizioni antiche: esse, infatti, ai tempi delle nostre nonne, erano l’unico evento pubblico che puntualmente ricorreva in ogni paese o frazione, piccoli o grandi, con enorme aspettativa da parte di tutti i cittadini, di ogni categoria e grado sociale, per dimostrare al Patrono l’immensa devozione e l’affetto, per sfoggiare il vestito nuovo e per rompere la solita routine di lavoro riunendosi attorno alla tavola imbandita con tutta la famiglia davanti a cibi sicuramente più appetitosi rispetto a quelli semplici di tutti i giorni. Erano anche un momento in cui il campanilismo si manifestava più acceso; erano, e lo sono ancora, una gara a chi riusciva a sorprendere più degli altri nella scelta delle luminarie, dei fuochi d’artificio o delle bande.
La scelta dei Santi patroni si stabilizza tra fine Settecento e inizio Ottocento. Nel Novecento si è affermata la tendenza ad assumere due santi patroni, uno al maschile ed uno al femminile; quest’ultimo, in non pochi casi, coincide con la Vergine Maria in una ricca pluralità di denominazioni: di Belvedere (Carovigno), di Loreto (Surbo), di Montevergine (Palmariggi), di Coelimanna (Supersano), della Grotta o Madonna Bruna (Carpignano), dell’Abbondanza (Cursi), della Coltura (Parabita), della Neve (Neviano), della Lizza (Alezio). Molti i Santi orientali venerati nel “greco” Salento: le loro icone o reliquie furono portate qui ai tempi delle lotte iconoclaste dai monaci bizantini fra questi san Giovanni Elemosiniere (Casarano e Morciano) nativo di Cipro, patriarca di Alessandria d’Egitto; Sant’Ippazio, nato in Asia Minore (Tiggiano); San Gregorio nato in Armenia (Nardò); San Nicola di Myra, nato in Licia, scelto come patrono da molte comunità salentine (Maglie, Aradeo, Sannicola, Specchia, Salve, Squinzano). Fra i patroni martiri vi è anche un santo barbaro, San Niceta il Goto, venerato a Melendugno, unico paese in Italia ad averne il protettorato.
L’adozione del Santo Protettore, risposta alla necessità ancestrale dell’uomo di affidarsi a qualcuno che lo preservasse fisicamente e materialmente, obbedisce ad impulsi di varia natura: è, prevalentemente, la registrazione di un miracolo (Parabita, Carpignano, Cutrofiano ed altri), l’acquisizione di una reliquia o la beatificazione di un personaggio speciale originario del luogo (Campi, Copertino) o, anche, una manifestazione di gratitudine di un autorevole esponente del potere locale per essere stato liberato da un pericolo o guarito da una malattia (Ruffano). La festa acquisisce, così, un significato simbolico, che va ben al di là del semplice culto religioso e diventa quasi un “marchio di fabbrica”, segnando usi, costumi, stili di vita: irrinunciabile a ad alto tasso di suggestività a processione, dopo missa cantata, durante la quale il santo viene portato a spalla per le vie del paese mentre si prega, si canta e ci si raccoglie in preghiera; a banda è la musica che cammina, la musica che si sposta per le strade, e la sera, nella cassarmonica tutta illuminata, suona le arie celebri delle opere liriche; li fochi sono i fuochi d’artificio che si sparano la notte dell’ultimo giorno di festa, un tripudio di luci, colori e rumori in onore del patrono; a precederli, aumentandone l’attesa, sono e carcasse e a battaria, sequenza allegra di scariche di fuochi che si sparano intorno a mezzogiorno, modulata per essere ascoltata più che vista. A villa sono le luminarie che trasformano ogni paese in un fantastico universo di luci e colori. All’inizio erano tremolanti fiammelle che si accendevano per devozione alle finestre; oggi son diventate fantasmagoriche architetture. Dai lampioni alle lampadine ai led, la tecnologia supporta la fede e la tradizione si veste ogni anno dell’abito più nuovo e strabiliante che i maestri paratori possano allestire (in fatto di luminarie la capitale mondiale è Scorrano quando in luglio celebra la sua Santa Domenica; ma non meno celebri sono quelle di Diso, in occasione della festa dei Santi Filippo e Giacomo, il 1° maggio prossimo).
Così, dunque, i paesi salentini conservano la loro identità, mescolando sacro e profano, tradizioni antiche e attualità, divenendo costantemente oggetto di ammirazione e curiosità di cultori, fedeli e semplici appassionati.
Maura Corrado