LECCE – “I politici fanno finta di dimettersi, ma io sono stato diverso”. L’ex rettore dell’Università del Salento, quella che lanciava l’Isufi, quella che sognava di dare filo da torcere alle università del nord, quella di quando c’erano le risorse per tutto, torna a farsi sentire. Oronzo Limone ora fa lo scrittore e si gode la pensione, dopo la tempesta giudiziaria che lo travolse con l’infamante accusa di peculato. “Io sono fiero di essermi dimesso irrevocabilmente solo per alcuni molto fastidiosi, reiterati, feroci e lontani dalla realtà rumors mediatici, settimane prima dell’avviso di garanzia – spiega – Dopo essere stato osannato dagli stessi strumenti di comunicazione di massa, in pochi giorni fui messo alla gogna senza la minima possibilità di avere il beneficio del dubbio. Quattro giorni di questo bombardamento mi spinsero a dimettermi. Così mi son potuto difendere senza coinvolgere l’Istituzione per la quale avevo dato tanto in sei anni, con i risultati sotto gli occhi di tutti”.
Prima della bufera l’ex rettore era considerato tra i migliori di sempre: oggi, però, parla di sogno finito per l’Università del Salento. È il tempo del l’amaro risveglio, con l’allarme dei rettori pugliesi per la fuga degli studenti al nord, con le richieste di proroga per i fondi dell’edilizia, con le guerre interne e tanti altri guai. “Ma ormai era finito il sogno di dare a Lecce una importante sede universitaria, portata ai primi posti del rating nazionale (e questo ha scatenato l’ira di sedi concorrenti e più blasonate, oltre ad alte ire) – spiega l’ex rettore – Rifarei tutto -tranne gli errori, dei quali sono pentito profondamente- perché sono stato sempre spinto e guidato dall’amore per la mia città e per la mia università. Ho commesso solo qualche errore, sostanzialmente per disattenzioni amministrative, di tenue entità e sto giustamente pagando ancora le conseguenze”.
“Ho commesso poi un gravissimo errore nel tradire l’affetto della mia famiglia (ammaliato da persone interessate e calcolatrici). Per tutto questo ho lasciato a testa alta. Ma credo di essere stato fra i pochissimi che l’hanno fatto! E, forse, per colpe un po’ meno gravi di quelle che si leggono oggi sui giornali e rivolte a uomini lautamente pagati con soldi pubblici. Ma è così e va accettato senza riserve. E’ il prezzo da pagare quando la democrazia si ammala. Speriamo solo, per concludere, che si trovi un efficace rimedio alla malattia e che i nostri nipoti possano dire con orgoglio, gioia e consapevolezza di essere cittadini Italiani”.
Garcin