LECCE – Come promesso, dopo le dichiarazioni a caldo dell’ex rettore Domenico Laforgia, all’indomani della sentenza di assoluzione dall’accusa di minacce, vi proponiamo un’intervista con la quale abbiamo cercato di scavare nei rapporti di due ex amici che si sono ritrovati nemici in un’aula di tribunale. Vincenzo Zara, ha denunciato chi lo ha portato al potere con la sua squadra: forse si sentiva sotto pressione. Forse ha interpretato i consigli come ingerenze. Un epilogo inspiegabile quello della denuncia penale per una mail in cui si davano dei consigli, che puntualmente si dissolve nell’aria come bolle di sapone. Siamo fieri di averlo previsto.
Abbiamo anche detto che l’immagine dell’Università del Salento non ne esce bene. Il nostro giornale non ha timori reverenziali verso il potere: facciamo le pulci a tutti, come abbiamo fatto con l’ex rettore in passato. Il testo unico dei doveri del giornalista spiega nel primo articolo che «è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica». Sulle vicende dell’Università il Corrieresalentino.it ha fatto il suo dovere: ha dato la notizia e ha esercitato il diritto di critica. Continueremo così. Oggi vogliamo ascoltare uno dei protagonisti di questa storia, in attesa che anche il magnifico Vincenzo Zara ci conceda un’intervista sulla vicenda.
Professor Laforgia, vogliamo fare una volta per tutte il punto della situazione? Come è potuto accadere che un suo ex-prorettore, che lei ha fortemente sostenuto, sia poi arrivato a denunciarla? Cosa gli ha fatto?
«È una domanda che si pongono in molti. Evidentemente quello che si pensava fosse riserbo e introversione caratteriale era altro. Non riesco a spiegarlo diversamente. La domanda, se mi permette, però è un’altra. Come è possibile che in una società che si definisce civile, anzi, in un contesto come quello accademico che dovrebbe essere il simulacro dell’onestà intellettuale, siano possibili situazioni come quella che noi abbiamo vissuto. È chiaro che siamo in presenza di un vuoto che circonda oramai tutto. Mi riferisco allo sfrenato individualismo che caratterizza i rapporti umani nei momenti di crisi e l’università italiana sta vivendo un momento di crisi importante. Nei momenti di difficoltà sentimenti come la generosità, la lealtà, la solidarietà e la riconoscenza sono i primi a dissolversi e la nube tossica dell’interesse avvelena tutto. Perdoni la metafora ecologica ma è la realtà. Sono preoccupato del futuro se questa deriva non trova ostacoli perché nell’indifferenza generale possono accadere cose improbabili come questa».
A distanza di un paio di giorni dalla sentenza che cosa pensa e cosa prova?
«In realtà ho lavorato, come sempre. In questo periodo c’è molto da fare in Regione e non ho tempo per altro. Cosa provo? In questo momento nulla. Quando le situazioni sgradevoli come quelle giudiziarie si protraggono per tanto tempo finiscono per prosciugare anche le emozioni negative, l’ira, il disappunto, la frustrazione, il disgusto; ad un certo punto non senti più nulla, neppure il piacere del risultato. Ho visto più euforia nei miei amici e nei collaboratori che mi hanno inondato di messaggi di felicitazioni».
E questo non le ha fatto piacere?
«Certo. Mi ha fatto molto piacere e desidero ringraziare tutti, a cominciare dal presidente Emiliano il quale, nonostante le emergenze di questi giorni, è stato tra i primi a telefonare. E il mio staff di Bari, straordinario. Gli avvocati, bravissimi. Ma come le ho già detto giovedì, questo processo non si sarebbe neppure dovuto celebrare. Uno spreco. Di denaro pubblico, di tempo degli avvocati, dei magistrati, mio, della mia famiglia, dell’ufficio legale dell’università, insomma uno spreco di risorse che paghiamo con le nostre tasse, non ce lo dimentichiamo».
Lei non crede di aver commesso qualche errore che magari avrebbe potuto evitare tutto questo?
«Guardi dipende dai punti di vista. Quello che è un errore per qualcuno può essere un pregio per altri. Il mio errore/pregio è quello di dialogare con schiettezza con chiunque. Dico quello che penso e, spesso, senza nuances. E, dunque, non riesco neppure a immaginare come possa qualcuno prendere una mia affermazione e, dopo mesi, costruirvi intorno un impalcato di mezze verità sufficienti a dare corpo a una querela. Se pensi di aver ricevuto una minaccia, una diffamazione devi agire subito non dopo mesi. Che senso ha? Ha senso soltanto se è strumentale ad altro».
Ci parli del suo impegno in Regione.
«Il mio lavoro è fondamentalmente di coordinamento e programmazione ascoltando le istanze del territorio. È un lavoro gravoso ma devo dire che i dirigenti che mi affiancano sono straordinariamente capaci, come non ho mai avuto la fortuna di incontrare finora. Tutti lavorano con me al progetto di una Puglia del futuro, dei prossimi decenni. Il Dipartimento si occupa di diversi settori ma tutti collegati tra loro dal filo rosso dello sviluppo, che è un concetto che mi appartiene profondamente. In comune con il rettorato è l’assunzione di responsabilità. Un rettore deve prendere decisioni e assumersi le sue responsabilità altrimenti, se prevale la paura di decidere, la sua Università rischia l’immobilismo e l’immobilismo è più dannoso di una decisione errata perché disorienta chi lavora con te e crea una sensazione di anarchia completa. Lo stesso accade in Regione».
Rimpiange mai il suo precedente incarico?
«No, ho sempre saputo che era temporaneo e l’idea stessa della temporaneità mi ha fatto galoppare per sei anni per poter realizzare tutto quello che era necessario, ma anche in quel caso avevo una bella squadra di delegati, un vicario e una segreteria molto efficiente. Forse eravamo dei visionari ma di bei risultati a casa ne abbiamo portati tanti. Come la scalata alla classifica mondiale del Times Higher Education arrivando tra le prime italiane, posizioni che abbiamo conquistato con impegno e fatica, perse poi negli ultimi anni. La parte più interessante erano proprio le innovazioni. Da quelle più importanti a quelle apparentemente meno rilevanti. Sapeva che la nostra Università è stata la prima in Italia ad avere un delegato per i ricercatori? [N.d.R. prof. Greco] L’innovazione, tuttavia, è difficile da far veicolare a chi non è esercitato a praticarla e ci siamo impegnati moltissimo per colmare quel gap tra l’anima scientifica e quella umanistica che contraddistingue quasi tutti gli atenei generalisti. Per non parlare del coinvolgimento di tutto il comparto industriale, locale ma anche e soprattutto internazionale, con cui abbiamo fatto belle cose. Ma la cosa che mi piaceva di più era vedere sia i colleghi che gli amministrativi era orgogliosi di appartenere all’Università del Salento, soprattutto nella seconda metà del mandato alla luce dei risultati già raggiunti. Amavo meno la parte mondana del ruolo ma l’ho sempre vissuta con spirito istituzionale».
Garcin