di Julia Pastore
LECCE – La democrazia non è una parola vuota a cui affiancare aggettivi a nostro piacimento: le parole sono importanti, potremmo dire citando Nanni Moretti. Inoltre, la democrazia si può esercitare in modo virtuoso solo attraverso associazioni di cittadini (i partiti) che partecipano alle elezioni. Senza partiti governano pochi facoltosi personaggi foraggiati dal potere economico. Ieri, lunedì 15 Maggio, l’Università del Salento ha ospitato, presso un’aula dell’ex monastero degli Olivetani, il noto politologo Gianfranco Pasquino per una “lectio magistralis” sull’evoluzione della democrazia.
Il professore è partito da un dato numerico: le democrazie di un secolo fa, e precisamente nel 1922 (anno del crollo della democrazia italiana) erano ventinove in tutto il mondo; in piena guerra, nel 1942, ce n’erano dodici; nel 1990, cinquantotto; oggi sono circa novanta.
La democrazia può anche avere delle delle aggettivazioni, ma queste devono essere controllate con cura, non devono travolgere il significato del sostantivo, come fanno spesso, per ignoranza, i giornalisti. Per esempio, quando si parlava di “democrazia popolare”, quella non era affatto una democrazia ma il regime comunista; idem quando si parla di “democrazia populista”: di base sappiamo che la democrazia è il potere del popolo, quindi il populismo è intrinseco ed è talmente ben collocato, che lo troviamo per esempio nella Dichiarazione che crea la costituzione statunitense (“We, The People”); lo si trova nell’art.1 della Costituzione italiana. Le democrazie devono essere anzitutto liberali: in democrazia non ci può essere un’istituzione che controlla tutto ma vi deve essere sempre un rapporto tra le istituzioni tale per cui più istituzioni svolgono ognuna il suo compito.
Possono interagire tra loro, ma nessuna può prevaricare sull’altra, poiché le democrazie sono tali in quanto osservano, proteggono e promuovono i diritti di tutti i cittadini (anche di coloro che sono in opposizione). Molti sistemi si avvicinano, ma non sono democrazie. Qualcuno ha avuto l’infelice idea di parlare di “democrazie illiberali” ma, se sono illiberali, non sono democrazie. Il sistema è tale per cui chi vince non vince mai tutto e chi perde non perde mai tutto. Questo è un sistema paritario, altrimenti, se chi vince, vince tutto, sarebbe il fautore di un regime totalitario. Invece in democrazia chi perde non si oppone in maniera violenta, perché chi vince non gli strapperà tutti gli strumenti per tornare ad essere in gioco e vincere. Emblemi pericolosi sono sono quello dell’Ungheria o quello della Turchia, la quale per un po’ ci era sembrata una situazione nella quale si potesse costruire la democrazia, ma Erdogan ha distrutto l’anima della democrazia stessa.
Molti erroneamente pensano che la democrazia sia in crisi, ma in realtà ciò per cui molti milioni di persone hanno lottato o perso la vita non è affatto in crisi (ad esclusione di tante, non tutte, aree islamiche. Per esempio in Indonesia c’è, dal 1998, una democrazia).
La democrazia nasce soprattutto laddove ci sono gruppi che sanno di non poter distruggersi a vicenda e questi gruppi un tempo erano i gruppi religiosi europei (seguendo il principio “cuius regio, eius religio”): proprio dal pluralismo religioso si origina il pluralismo politico, che condurrà alla democrazia. E fu questo il grande stupore di Tocqueville, quando andò negli Stati Uniti: vedere associazioni spesso religiose che però erano in conflitto.
Pasquino insiste sul fatto che non c’è crisi dell’idea di democrazia ma ci sono delle difficoltà nelle democrazie. Se non ci sono libere elezioni, intese come libertà di andare alle urne, come possibilità di fare la campagna elettorale, presentare i candidati, raccogliere i fondi e di avere qualcuno sui seggi che controlli il corretto, e non corrotto, funzionamento del sistema nelle urne, non c’è democrazia.
Il problema è il non sentirsi rappresentati: basta andare in un bar per sentire qualcuno che chiacchierando afferma di non sentirsi rappresentato. E in effetti la crisi contemporanea, laddove c’è, è una crisi di rappresentanza, non di democrazia.
Non ci sentiamo rappresentati perché non ci sono più i partiti di un tempo o addirittura non ci sono più i partiti. Nel contesto italiano c’è un partito solo che si chiama partito: tutti gli altri hanno varie definizioni affini. Oggi in Italia i partiti sono diventati quasi tutti organizzazioni personalissime. In particolare, abbiamo un movimento, il M5S, che si autodefinisce un “non partito” ma che tecnicamente lo è a tutti gli effetti, perché un partito è un’associazione di donne e di uomini che presentano dei candidati alle elezioni, che ottengono voti e vincono cariche. Ma il M5S ha dei candidati veri, che sono stati eletti. Gigantesca è però la loro incompetenza in Parlamento. Infatti hanno imparato a fare frasi corte quando vengono intervistati, ma le frasi corte non caratterizzano la politica e ancor meno la democrazia: la democrazia é conversazione. Una conversazione in rete può aversi, ma sarà sempre scarna, sintetizzata. Invece la democrazia é una conversazione fra persone che si incontrano e scambiano idee e sullo scambio costruiscono qualcosa, altrimenti non è più democrazia. È giusto utilizzare gli strumenti telematici, i “social network”, ma le vere scelte non stanno mai dietro a un click, neanche sulla pena di morte: “sei favorevole o contrario?” È invece importante sapere come il favorevole argomenta e come il contrario argomenta.
La pena di morte è eminentemente non democratica, perché democrazia vuol dire cambiare idea, riuscire a capire che si è sbagliato e implica la possibilità di autocorreggersi. La pena di morte, una volta applicata, non può prevedere l’autocorrezione, quindi è antidemocratica.
La democrazia italiana è una democrazia di medio – bassa qualità. È anche vero che la democrazia funziona laddove vi sono Paesi ricchi, ma i Paesi sono ricchi perché nascono laddove c’è la ricchezza o sono ricchi perché, funzionando bene, producono ricchezza? Non sempre c’è una ricchezza naturale “a monte”. Accantoniamo il caso della Norvegia: in Svezia, in Finlandia o in Australia non ci sono grandi ricchezze. La chiave di volta sta nel fatto che un paese democratico tende a produrre risorse che lo renderanno ricco nel corso del tempo.
Le democrazie nascono quando nascono i partiti. Laddove c’è un sistema di partiti strutturato e competitivo, siamo sicuri che c’è una democrazia; laddove invece non ci sono partiti, siamo sicuri di essere difronte ad un regime totalitario o autoritario. Non potremmo mai mantenere in vita una democrazia se non siamo capaci di avere dei partiti realmente rappresentativi. Bisogna che gli elettori interloquiscano ed interagiscano con i partiti, quindi non basta un pubblico che ascolta o che semplicemente clicca pro o contro.
L’eguaglianza politica è quello che conta: non possiamo andare avanti con i favoritismi. Quello che non è accettabile è la diseguaglianza di fronte alla legge e alla politica.