Con Caterina abbiamo discusso a lungo su come qualificare in maniera puntuale e precisa la sua attività fotografica. Lei non si definisce fotografa sic et simpliciter, poiché accosta quest’appellativo alla professione ed agli ovvi risvolti economici di questa. E la fotografia, per Caterina, non è mai stata mezzo di sostentamento finanziario, ma condivisione e piacere intimo, profondo, passione infinita, capace di proiettare all’esterno il suo essere, la sua curiosità, dove quest’ultima pare che sia inesauribile. Di sé Caterina dice che è una persona che ama raccontare tramite la fotografia, perché questa è il miglior mezzo espressivo per esplicitare il suo essere. Da qui, trovo che la miglior definizione per lei sia quella di narratrice fotografica. In effetti, tutti i suoi lavori si sostanziano in sequenze fotografiche tra loro collegate al fine di mettere in evidenza una realtà, un tema. Non che sia incapace di sintesi, anzi, ma predilige l’analisi, il dettaglio, le varie sfaccettature di una questione, di un argomento: la complessità, in definitiva. E questo perché Caterina è una persona complessa, ma mai complicata. In tale direzione, ciò varrebbe per ricca, dove un animo, estremamente composito ed articolato, guida la sua arte, la sua vita.
Ho conosciuto Caterina nel lontano 1986, in occasione di uno stage fotografico con Uliano Lucas e Carla Cerati. Al tempo, ero un fotografo professionista per l’industria e Caterina approfittò delle mie competenze per migliorare le sue tecniche di stampa in bianco e nero. Molte volte sono andato a casa sua, e in una botola, dove aveva la camera oscura, abbiamo passato tantissimo tempo per sperimentare e perfezionare le sue conoscenze. Da allora, l’ho seguita da lontano e lungo ed interessante è stato il suo percorso artistico. Oggi, è diventata una fotografa non solo punto di riferimento per il contesto salentino, ma rinomata in ambito nazionale ed internazionale. Di lei hanno parlato noti critici italiani e si è scritto su riviste di primaria rilevanza, nonché anche su Repubblica, dove, nel 2012, le è stata dedicata un’intera pagina, quella culturale ovviamente.
Esordisce nel 1989 e da allora, periodicamente, ogni tre, cinque anni ha prodotto un lavoro. Tra questi vale la pena citare: Le figlie di Teùta, Password, Senza Cornice, Verso Sud. Ognuno di questi, tradotti in mostre, ha richiesto a Caterina un lungo lavoro di ricerca, sensibilizzazione, riflessione, macerazione interiore. Ama così esplorare il campo di ricerca che si è prefissato, che la sua curiosità le ha dettato, per poi tramutarlo in immagini di rara bellezza, compostezza e perfezione tecnica. Da segnalare è che tutti i suoi lavori sono in bianco e nero, tranne pochissime eccezioni. Insomma, credo che la fotografia per Caterina sia un modo di vivere, di dare senso alla propria esistenza. Dall’altro, se si prendono i soggetti dei suoi lavori, tutti rigorosamente impegnati, con contenuti, molto spesso, universalistici, credo che Caterina possa essere inquadrata come un’intellettuale della fotografia, una che mette in luce realtà importanti, che viceversa rimarrebbero inespresse o ignorate.
Domenica scorsa sono andato a trovarla, e in una casa, la sua, arredata con rara eleganza e sobrietà, dove in tutti i particolari trasudano il gusto e l’amore per l’estetica, abbiamo preso un caffè, intrattenendoci per circa due ore. Qui, e con lei, ho cercato di capire, perimetrare la sua attività fotografica, ma mi è stato pressoché impossibile: una produzione vastissima e di valore, moltissimi gli interessi e le sue relazioni, in tutte le direzioni. Qui, dunque, solo tracce. Tra le altre, ho anche appreso che si è cimentata con successo anche nella produzione di lungometraggi e corti, tra i quali vanno citati Nella Casa di Borgo Sannicola, un documentario sulla vita delle carcerate, e la Festa del Sacrificio, girato in Marocco e centrato sulla festa che segna la fine del Ramadan.
Che dire, in conclusione, di Caterina Gerardi? Una salentina sprovincializzata che vive per la fotografia, quando la fotografia, per alcuni tratti, vive per lei.
Mauro Ragosta