Marcello Buttazzo è il poeta dell’attesa: attende l’alba, la primavera, il rinnovamento, la rinascita. È ottimista, o come scrive Slavoj ŽiŽek, uno che nutre speranza senza essere ottimista. Nel frattempo, pubblica con I Quaderni del Bardo edizioni, “Verranno rondini fanciulle”, una raccolta di poesie o un unico poema, da leggere tutto d’un fiato, senza pause.
Incanta “il lucore / spense la notte / lunga incomprensibile, di ghiaccio. / Finalmente l’alba”, così come “l’effervescente ebbrezza / chiamata tempo”. Talvolta, si ha l’impressione di essere in colloquio con Marcello, sembra si rivolga a te, sì, proprio a te, salvo poi a comprendere che la poesia è universale e si rivolge a tutti.
“Torna ancora il Poeta a scandire il suo passaggio coi suoi versi che sono pura alchimia del Tempo dell’esistere e dei Tempi dell’essere”, si legge nella prefazione di Vito Antonio Conte; ed è proprio così, un’alchimia, una magica corrispondenza tra il tempo della complessità, dell’unità che coinvolge e travolge l’essere in ogni sua condizione. Non inganna Marcello Buttazzo e soprattutto, non induce allo sconforto o al tragico, semmai il contrario, assurge alla speranza, devoto all’amore, alla donna, alla magnificenza di madre Natura.
Stupisce e si stupisce sia il poeta, sia il lettore nell’immergersi nei versi di “Verranno rondini fanciulle”, anche quando si contempla la poesia dedicata alla terra salentina: «Nuda terra / appariglia / le anime sole. / Nera terra / di sangue carminio / nelle vene di povera gente / protesa ad afferrare l’intima ragione dell’essere. / Contadini / di fatica di dolore / che sanno santificare / l’attesa la speranza l’amore» (p. 21).
Ogni poesia è come un quadro, ogni elemento è al suo posto, ben congegnato, lascia immaginare l’idillio, la meraviglia di una rosa in giardino o della pioggia d’aprile. I versi rotti, interrotti alla maniera ungarettiana, le allitterazioni, il fascino di una poesia che affaccia all’attesa, al desiderio ad esempio, di un’estate che verrà. Marcello Buttazzo gioca coi versi.
La poesia per Marcello è “un veicolo di sapéri, un’astronave di virtù che ci fa viaggiare su questa terra e oltre le nuvole. Essa ha il compito di rendere noto l’inconosciuto, e di mettere in contatto intimo l’umanità” (Sul Boxer del nonno verso la Poesia, 2016); e da quest’astronave sarà difficile scendere, quando a pilotare è un mago, un poeta, uno che ha faticato, sudato sui versi e con i versi, per produrre emozioni sempre nuove.
«Tace il passato / e il patema del tempo / è una carezza di stupore. / Tace il giorno / ma sento le voci. / Ti sento / e ti vedo / negli occhi / delle belle passanti (p. 41). Adulatore del sé, della donna, amante della poesia, e per Buttazzo, pare tutta al femminile, in quanto donna, madre, natura. Congeda, inoltre, il lettore ma mai definitivamente, poiché attende, è nell’attesa di una luce che abbacina, abbaglia, stordisce.
Alessandra Peluso