RACALE (Lecce) – Fra Stato e iniziativa economica privata c’è sempre stata collaborazione nella storia economica del nostro Paese.
Una collaborazione che esisteva ancor prima che nascesse un’area di economia pubblica e si aprisse il dibattito delle nazionalizzazioni. Ma la storia, ancora una volta, ci insegna che le imprese furono nazionalizzate a causa di circostanze imperniate sull’intenzione di orientarsi verso una forte presenza della mano pubblica; e per circa un secolo è stata questa la logica che ha presieduto allo sviluppo economico italiano, dove coesistevano due poli, uno pubblico e uno privato, con finalità e funzioni differenti, in grado di interagire positivamente.
E, almeno nelle epoche migliori, tutto, o quasi, funzionava. Fino a che la politica, quella bieca, ci ha messo il naso. Allora tutto è venuto meno. Alla fine del secolo scorso, quando menti superiori hanno decretato la fine di quell’esperienza, giudicata insostenibile in ragione dei costi di un’economia pubblica, considerati oramai insostenibili. Fu così che ebbe inizio la stagione delle privatizzazioni, oggi sul banco degli imputati. La grande idea delle privatizzazioni, partorita da menti eccelse, trasse origine da un giudizio duramente negativo su un sistema di imprese pubbliche che, da un lato, appariva sempre meno orientato all’efficienza e, dall’altro, aveva dato luogo a un intreccio sempre più stretto e perverso col mondo politico. Nessuno, però, si chiedeva il perché.
Qualche illustre mente pensava che fosse quello il nodo da sciogliere per bloccare il processo involutivo dell’Italia. Addirittura qualcuna di queste menti, al tramonto della carriera, se non della vita, aveva partecipato alla grande ricostruzione industriale del dopo guerra a partecipazione statale. Eppure ne decretava la fine.
Con le privatizzazioni, ormai ritenute necessarie in una situazione in cui si rimestavano ragionamenti economici e, soprattutto, sollecitazioni politiche, venne giudicato possibile venire a capo di una serie di contraddizioni italiane sic et simpliciter smontando pezzo dopo pezzo l’articolata e composita macchina delle Partecipazioni statali. Non fu mai chiaro, però, se la decisione fu presa nella più totale incoscienza delle conseguenze che ne sarebbero derivate o se, invece, qualcuno si rese conto che ciò poneva termine ad un modello di collaborazione pubblico-privato che aveva, fino a quel momento, guidato l’intero percorso di sviluppo del nostro Paese.
Tuttavia, la privatizzazione non poteva e non doveva comportare una semplice inversione di tendenza nell’ingerenza dello Stato nell’economia nazionale. Come tutti i grandi cambiamenti, questo avrebbe dovuto comportare una totale ridefinizione del rapporto Stato-Iniziativa economica privata. In realtà ciò non è successo. Lo Stato si è semplicemente estromesso da questo solido rapporto rinunciando alle sue funzioni e mettendo in atto un comportamento nettamente in contrasto con la sua lunga storia interventista post bellica. In tal modo si è ottenuto l’esatto contrario di ciò che si voleva ottenere con le privatizzazioni.
Saltando un passaggio intermedio molto importante, invece di giungere ad una distinzione più netta fra la classe politica e gli interessi economici, la collusione fra politica ed economia, invece di attenuarsi, si è consolidata.
Il passaggio mediano avrebbe dovuto creare nuove figure istituzionali con il compito di vigilare sui comportamenti dei soggetti imprenditoriali cui era stata delegata la gestione delle imprese privatizzate. Soprattutto, si sarebbero dovute privatizzare le imprese in perdita ed aiutarle a fornire i servizi, magari anche con finanziamenti concessi nei primi anni di privatizzazione. Ma ciò non si è verificato ed ora, forse, è troppo tardi.
Lo Stato-imprenditore non esiste da tempo e non è più in grado di governare complessi meccanismi imprenditoriali. A meno che tutto il sistema statale non venga rivisitato con serietà ed oculatezza, integrato e rivitalizzato con nuove figure professionali, competenti e capaci. In alternativa, la totale privatizzazione dei servizi a prezzi controllati e con la totale assunzione di responsabilità dei gestori, garantita da leggi serie.
Perché ciò accade quando … di mezzo c’è la politica. Ecco perché è crollato il ponte di Genova.
Flavio Carlino