Del buio i bambini hanno paura. Da grandi capiranno che il buio, la notte è amica. È madre. Di notte si disvela la coscienza, e forse è accaduto proprio questo a Giuseppe Perrone scrivendo “L’ora del buio (spalle al muro)” (I Quaderni del Bardo Edizioni).
Nel buio “qualcosa ci salverà”: “all’epilogo dell’ultimo giorno / Non sarà il sole a sopravvivere / non splenderà la luna / alla fine del creato / sul ciglio della rovina / Alla fine dei ciel immensi, / negli universi di mistero / … / qualcosa ci salverà / Non sarà tavola delle leggi / non sarà giudizio universale / Il nulla si salverà / E la sua parola di verità (p. 100). La speranza della salvezza è perniciosa, si radica in ogni individuo pensando che un giorno il poeta racconterà la verità, sarà il “salvatore del mondo”. Ma il poeta non salva nemmeno se stesso, perché in fondo gli interessa poco: è attratto dalla vita, dal viverla intensamente, dal giocare col verso. Col ritmo. A danzare.
E chi se ne importa se inciampa. Sa rialzarsi. Così Giuseppe Perrone nei versi cade, si rialza. Spera. Dispera. Attende la luce. Ma vive la notte. Così. È il mistero, il fascino della vita. “… Al termine della notte che noi come umanità disumana abbiamo scelto di intraprendere da incoscienti senza preoccuparci delle conseguenze che ci porteranno all’estinzione … una poesia che guarda in faccia lo sgomento, l’indifferenza di questo lungo e interminabile viaggio”, questo osserva Nicola Vacca nella postfazione. È un viaggio la vita: la poesia. “Non c’è verità / Non c’è realtà / C’è la città degli indifferenti / C’è il veleno delle menti / Non c’è colpa, / ognuno è innocente / E non c’è perdono / Non c’è vita / la morte non c’è / Il nulla è un paradosso” (p. 46).
Se qualcuno cerca ristoro qui non lo avrà: ne “L’ora del buio” ci sono gli interrogativi di una vita, gli affanni, i tormenti. L’avvisaglia di un raggio di luce è ricoperta d’improvviso dallo sguardo proprio sulla coscienza. Giuseppe Perrone è anche filosofo. Come tale si dimostra nei suoi versi intrisi di senso, di domande, di silenzi. Non si stanca di ricercare, di credere, di esserci: alle volte gettato nel mondo come una “cosa”, altre con la consapevolezza di essere una “cosa”. La sostanza è manifesta.
Accade allora che in quell’attimo di buio, la notte incombe e nel tempo e nello spazio nei quali si è stati predestinati l’autore, il lettore, il soggetto si trovino “spalle al muro”: la verità è qui. Silenzio. Si guarda intorno. Il mondo gira ma lui no. È fermo. Guarda ancora e osserva gli altri abbattuti dall’indifferenza indomita e malvagia che acquieta ma non abbatte alcun muro. Col suo piccone, la parola, Perrone prova a scalfirlo, cerca di creare uno spiraglio di luce: forse c’è, ma occorre guardare bene. Con gli occhi dell’anima. Del poeta.
C’è una realtà narrata in versi. Non ci sono farmaci per curare l’amaro: questa è la vita. Prenderne coscienza è d’obbligo. E dunque, leggere “L’ora del buio” di Giuseppe Perrone non lascia certo indifferenti né sereni: l’inquietudine, il tormento irrompono. Guai se non accadesse ciò. La parola si è compiuta. La poesia ancora una volta ha svelato l’indicibile. Ha raccontato la verità, le verità.
Alessandra Peluso