LECCE – Con Sant’Irene i leccesi hanno un legame speciale, non una semplice devozione, ma un vero e proprio vincolo di sangue, l’impressione che si ha, chiedendo informazioni lungo la via, è che il nome di questa Santa abbia il potere di entrare nelle case e nella mente non solo dei fedeli, ma anche di tutti coloro che si imbattono nella chiesa a lei dedicata.
A ben riflettere, il nome stesso, suona all’orecchio come foriero di serenità e infatti non a caso, Irene significa proprio “Pace”.
Sulla vita di questa Santa poco o nulla è dato sapere con certezza, una tradizione la vuole originaria di Lecce, figlia di Licinio (Licinius) e nipote di Costantino.
Figlia di nobile famiglia, fu proprio il padre a rinchiuderla in una torre, alcune fonti riportano perché geloso della sua bellezza, altre più attendibili, perché scoprì la sua conversione al cristianesimo.

Fatto sta che la fanciulla si ritrovò prigioniera, ma ciò non fece tentennare la sua fede.
Da questo momento in poi, la biografia di Sant’Irene viene impreziosita da una serie di fatti miracolosi poco credibili, ma sicuramente affascinanti, come ad esempio la resurrezione del padre avvenuta grazie alle sue preghiere o la conversione di migliaia di pagani, ma ciò non la risparmiò da una morta cruenta per decapitazione avvenuta dopo una lunga tortura.
La storia va invece incontro a chi ipotizza la nascita di Irene in Persia, dove già nel V secolo, a Costantinopoli esistevano due chiese a lei intitolate.
Indipendente dai suoi miracoli e dalla sua vita, i leccesi per secoli si sono rivolti a lei come Santa Patrona della città, fino al 1656, anno in cui a Sant’Oronzo fu attribuito il merito di aver salvato la città dal flagello della peste e divenne lui Santo Patrono.
Non tutti i leccesi accolsero di buon grado questa decisione, la diatriba infatti è arrivata fino ai giorni nostri e non è raro ascoltare la testimonianza di chi vorrebbe che a Sant’Irene venisse restituito il suo titolo legittimo.
A Sant’Irene (Irina) è dedicata una delle chiese più belle di Lecce e d’Italia, realizzata su progetto di Francesco Grimaldi grazie ad un ingente fondo messo a disposizione dalla cittadinanza tutta, che nel 1639 ebbe la degna dimora in cui pregare la Santa.
La chiesa di Sant’Irene accoglie i viandanti lungo corso Vittorio Emanuele II, nel punto in cui la via si allarga in uno spiazzo e crea una biforcazione: proseguendo sulla sinistra si giunge al duomo, prendendo a destra invece ci si percorre via Regina Isabella per poi raggiungere via Palmieri.
L’interno della chiesa, in perfetto stile Barocco, è elegante, maestoso, imponente e accogliente, forma una croce greca con navata unica che termina in un timpano triangolare e tre cappelle con altare per lato.
La navata è luminosa, gli altari riccamente decorati invitano alla sosta e alla meditazione, assorbono completamente l’occhio dello spettatore staccandolo dalle pene terrene.
Percorrendo la navata da destra, si trovano gli altari di San Carlo Borromeo, di San Michele Arcangelo e delle Anime del Purgatorio.
Il transetto custodisce quelli dell’Angelo Custode, di San Gaetano da Tiene e di Sant’Andrea Avellino.

Superato l’altare maggiore che spicca nell’abside, si incontra il transetto di sinistra con gli altari di Sant’Oronzo, Sant’Irene e della Sacra Famiglia.
Dirigendosi verso l’uscita sarà possibile ammirare l’altare della Madonna del Buon Consiglio, del Crocefisso e di Santo Stefano Protomartire.
Un vero tripudio di arte sacra sono inoltre le tele custodite in questa chiesa, come la Crocifissione di San Carlo Borromeo, il Martirio di Santo Stefano e l’estasi di San Pasquale opera di Antonio e Giovanni Verrio.
A tal proposito è utile segnalare che Giovanni Verrio ha realizzato anche le tele di Sant’Irene e le statue lapidee di Sant’Irene, San Giusto e Sant’Oronzo.
Il prospetto della chiesa di Sant’Irene richiama quello di Sant’Andrea della Valle ed è suddiviso in due ordini scanditi verticalmente da paraste trinate e colonne corinzie scanalate.
Il portale incorniciato da due colonne, reca in cima l’edicola lunettata con la statua Sant’Irene attribuita a Mauro Manieri, mentre le altre nicchie sono vuote.
Sulla trabeazione del secondo ordine invece, fa bella figura lo stemma della città: una lupa sotto al leccio sormontato da una corona regale.
Infine, spingendo in alto lo sguardo, si incontra l’ampia finestra con architrave ad arco e timpano triangolare. Le finestre ai lati sono invece cieche.
La chiesa non sorge isolata, ma si collega all’Ex Convento dei Teatini, che ivi soggiornarono fino al 1866, anno in cui l’ordine fu soppresso.
Pochi anni dopo, il convento divenne sede del Municipio, attualmente è uno dei punti nevralgici della città, spesso oggetto di polemiche più o meno sterili, utilizzato per eventi culturali, mostre e manifestazioni.