Al nostro esperto, l’avvocato Giovanbattista Cervo, abbiamo chiesto una rapida analisi sulla situazione in Afghanistan.
“GO Home!” Era già prevedibile che il disimpegno dell’Occidente nella seconda operazione Resolute Support in Afghanistan, susseguitasi alla precedente International Security Assistance Force ISAF avrebbe causato problemi, ma perché la coalizione a guida americana ha deciso, dopo vari annunci, di ritirarsi dall’Afghanistan?
Le risposte sono molteplici, ma la principale è che la campagna afghana assorbiva troppe risorse economiche, cifre stratosferiche, dunque, continuare a fare i guardiani di un territorio ostile, anche a beneficio di potenze antagoniste agli Usa, diveniva strategicamente rovinoso.
Le conseguenze, all’inizio minimizzate all’opinione pubblica, per gli Alti Comandi erano invece ben preventivate, come la proclamazione di una Repubblica Islamica governata dai talebani.
Apparentemente tale precipitoso ripiegamento sembrerebbe un fallimento, in particolar modo dal punto di vista tattico, ma lo è veramente se lo collocassimo in una più ampia visione strategica. Il Presidente americano Joe Biden, ordinando il ritiro ha dato seguito a quanto già anelato e previsto dalle ultime amministrazioni Obama e Trump, peraltro sottolineando che il loro compito era il contrasto al terrorismo, obiettivo alla fine raggiunto, non già costruire una nuova nazione.
Il ritiro, nonché l’operazione di sgancio della coalizione Usa, dopo venti anni di presenza militare, viene letta come una disfatta sul campo, laddove in realtà potrebbe celare un cambio di strategia: “ A volte bisogna perdere una battaglia per vincere una guerra ” asseriva Napoleone Bonaparte, perciò, poiché questa guerra può essere definita: “La guerra infinita”, come il titolo dell’omonimo libro del giornalista Giulietto Chiesa, la campagna dell’Afghanistan può essere considerata una battaglia di questa infinita guerra.
Sicuramente il ritiro americano e degli occidentali, attuato con le modalità alle quali abbiamo assistito, è stato tatticamente catastrofico e la propaganda che ne seguirà, attuata dai Talebani, sarà altrettanto pericolosa per l’incitamento alla realizzazione di altri modelli jihadisti.
A questo punto, poiché utilizzo spesso i termini “tattica” e “strategia”, al solo fine di non ingenerare fraintendimenti, vorrei sinteticamente definire il loro significato:
Strategia e tattica operano su due piani differenti, se pur accomunate dalle stesse coordinate per orientarsi nello sconfinato orizzonte della guerra: la prima rientra nella visione più ampia delle scelte politiche a lunga previsione, infatti ha confini incerti ed è un’arte che necessita, come si evince dalla stessa etimologia, delle qualità dello “strategòs” che la sappia occultare e dominarla con astuzia e genio.
La tattica, nella sua accezione di “taktikè”, compete invece al comandante sul campo ed è la tecnica inerente la manovra sui campi di battaglia, lo spostamento di eserciti, come ad esempio le finte ritirate di truppe per rispiegarle in contesti territoriali più favorevoli, nonché tutte le attività concernenti le operazioni militari in presenza di un nemico nel proprio raggio di azione.
Quindi, sia la strategia che la tattica sono strumenti di un disegno superiore e, pertanto, suscettibili di cambiamenti politico-militari mutevoli in relazione agli scenari ovvero alle risposte dell’avversario e, certamente spesso prescindono da scrupoli, morale ed etica, potendo portare anche al sacrificio di uomini.
Ritornando al nostro argomento, i Talebani al potere sono più utili all’attuale strategia americana che non il contrastarli come è stato fatto negli ultimi vent’anni, difatti i problemi che sorgeranno dal nuovo Afghanistan influiranno e coinvolgeranno non solamente le potenze antagoniste degli americani, quali Cina e Russia che saranno costrette ad impegnarsi maggiormente, forse anche in collaborazioni forzate, per sopperire al disimpegno degli alleati occidentali ma, anche la possibilità che dopo un breve periodo di tranquillità del nuovo Stato il tempo necessario ad assestare e rinforzare l’insediamento, ritorneranno i forti contrasti con altri paesi a guida musulmana come Pakistan, Iran, Turchia e non solo.
Attraverso tutte queste tattiche si attua la c.d. strategia del caos che non può che non tornare utile a mantenere una globalizzazione, momentaneamente a guida americana e in ogni caso, giusto o sbagliato che sia , anche a preservare e difendere i nostri interessi e la nostra identità occidentale da attacchi di culture non democratiche e non inclini alla tolleranza e al rispetto dell’Uomo.
In principio vi è stata la battaglia al terrorismo che ha richiesto l’intervento americano e dei suoi alleati: hanno neutralizzato per il momento questa tattica disumana, cito Osama bin Laden per tutti; è vero, dopo vent’anni hanno lasciato il territorio per abbandono della posizione, ripiegando nella speranza di lasciare il posto a uomini nuovi, che sapranno elaborare l’esperienza vissuta rimodulando una nuova e illuminata politica adeguata ai tempi.
Si sostiene che i Talebani siano persone inaffidabili, imprevedibili ma, dopo anni di guerra, si spera nei “nuovi” Talebani e nel fatto che abbiano maturato il requisito della moderazione: le esperienze sono storicamente documentate, il mondo vuole la pace, le facili vittorie spesso celano inganni e non è da escludere, che come nel titolo del libro di Stephen King: “A volte ritornano”.