COPERTINO (Lecce) – Irrompono gli esiti dei vari accertamenti eseguiti dai carabinieri del Ris nell’inchiesta sull’omicidio del carabiniere in congedo Silvano Nestola, ucciso con quattro colpi di fucile alla periferia di Copertino, il 3 maggio del 2021 mentre usciva dall’abitazione della sorella con il figlioletto di 10 anni in mano. Gli accertamenti, effettuati nei laboratori di Roma, sono confluiti nel fascicolo coordinato dai pm Paola Guglielmi e Alberto Santacatterina in cui sono stati iscritti i nomi di Michele Aportone, di 70 anni e della moglie Rossella Manieri, di 62 anni, (difesi dall’avvocata Francesca Conte), entrambi iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.
Le verifiche si sono soffermate sull’eventuale presenza di impronte papillari; di tracce biologiche o di residui di polvere da sparo. Approfondimenti complessi. Basti pensare che entro tre ore dallo sparo si perdono dalla mano le particelle medio-grandi mentre quelle piccole possono persistere di più. Se inoltre il soggetto procede al lavaggio delle zone interessate, i residui di polvere da sparo solitamente vengono dispersi fino alla loro totale eliminazione. Anche il tipo di arma usata influenza il deposito dei residui. Le armi lunghe lasciano generalmente un deposito inferiore rispetto a quelle corte sia per minori quantità di miscela innescante presente in ogni singola cartuccia sia perché la dispersione dei residui avviene principalmente dalla bocca del fucile e quindi risulta talvolta scarsa o assente dalle altre parti in movimento dell’arma. Il numero delle particelle residue di colpi d’arma da fuoco è direttamente proporzionale al numero dei colpi esplosi mentre gli spari in ambienti chiusi possono produrre depositi non solo sulle mani di chi impugna l’arma ma anche su quelle di altre persone presenti al momento dello sparo.
Nel caso dell’omicidio del carabiniere in congedo per motivi di salute su un fucile Benelli è stata riscontrata la presenza di numerosissime (maggiori di 100) particelle Piombo/Bario/Antimonio spesso in presenza di rame; stagno e ferro; così come su un fucile Berardinelli (particelle maggiori di 50); su un fucile Beretta (maggiori di 50); su un bossolo Rc calibro 12 (maggiori di 100); 1 particella, invece, su un Berretto Terranova e due particelle su una camicia mimetica. Negativi gli esiti su un giubbotto; due berretti; due torce e altrettante felpe; un maglione; due caschi; due cuscini; due mascherine chirurgiche e sul kit stub prelevato sul Fiat Iveco Daily.
L’esperienza maturata da alcuni laboratori internazionali (quali ad esempio quelli della polizia americana della Fbi) sono concordi nell’affermare che già in presenza di tre particelle certamente riconducibili allo sparo (se supportate da un adeguato spettro di particelle consistenti con lo sparo) la probabilità che la persona sottoposta a prelievi sia stata direttamente esposta ad una nube di residui di sparo sia superiore alla probabilità che la stessa abbia raccolto le particelle toccando superfici diverse dal quelle dell’arma utilizzata contaminate e che la positività sia quindi da ricondurre ad eventi di trasferimento secondario”
Del tutto negativi gli esiti degli esami di laboratorio per rilevare tracce di sangue sul materiale sequestrato. Gli accertamenti di natura biologica sui reperti hanno consentito di isolare un profilo maschile maggioritario su un fucile semiautomatico monocanna “Beretta” e quello femminile su una delle due torce. A chi appartengono? In attesa di conoscere gli esiti dell’indagini ci sono i familiari della vittima assistiti dagli avvocati Enrico Cimmino e Oronzo Maggiulli.