ALESSANO (Lecce) – Pubblicava post inneggianti a Mussolini e Hitler e ai relativi simboli di regime, nonché ai metodi di sterminio degli stranieri, sia mediante la soppressione con pallottole, che venivano pubblicamente esibite, sia con la deportazione utilizzando treni blindati, La prima sezione penale della Corte di Cassazione (presidente Vincenzo Siani) ha confermato la condanna a 1 anno di reclusione nei confronti di M.C., 54 anni, di Alessano, sottufficiale, in servizio nel compartimento marittimo di Gallipoli con l’accusa di apologia al fascismo con l’aggravante dell’odio razziale (pena sospesa e non menzione). Reato, nell’ordinamento giuridico italiano, previsto dall’articolo 4 della Legge Scelba entrata in vigore nel 1952. A mettere in moto le indagini è stato un esposto di una volontaria di un’associazione che, dopo aver assistito ad alcuni atteggiamenti irriguardosi in occasione di uno sbarco, si è incuriosita visionando il profilo social del militare, dove il sottoufficiale aveva inserito foto riconducibili al periodo fascista.
Non passarono inosservate neppure diverse scritte a sfondo razziale indirizzate ai migranti. Immagini di proiettili di grosso calibro con l’espressione “sono arrivati i vaccini obbligatori per i clandestini”; altra immagine, quella di una locomotiva con la svastica, accompagnata dalla frase “la locomotiva è pronta”; vessilli dell’aquila romana; la scritta “buona domenica fascista”; l’immagine di Hitler che, idealmente dialogando con il Ministro dell’interno in carica che si domandava come risolvere il problema della immigrazione clandestina, innalzava l’indice a pugno chiuso; l’immagine del “giuramento del fascista”; l’espressione, con l’effige di Mussolini, “quando l’ingiustizia diventa legge, la ribellione diventa dovere”. La suprema Corte ha rigettato il ricorso presentato dalla difesa del militare e ha confermato le condanne di primo e secondo grado emesse dal tribunale e dalla corte d’appello di Lecce.
Nelle motivazioni della sentenza di secondo grado, i giudici di merito affermavano che le condotte di esaltazione e apologia erano idonee a porre il rischio di ricostituzione del disciolto partito fascista nonché a esaltare e propagandare le idee razziste e i metodi antidemocratici dai medesimi utilizzati, precisando che le condotte avvenivano in un periodo immediatamente anteriore al novembre 2017”. La difesa del militare aveva presentato ricorso in Cassazione sostenendo la tesi di post estemporanei, e non confluiti in forum o altre community social; il profilo Facebook, seppur fosse pubblico, era comunque personale: non apparteneva a un personaggio pubblico, e pertanto poteva essere “monitorato” soltanto da chi “segue” il militare e non da un’ampia fetta di soggetti. I giudici di merito, ribadisce la Cassazione, hanno evidenziato “che l’imputato, sottufficiale delle Capitanerie di Porto, costituiva, in quanto pubblico ufficiale e rappresentante delle forze dell’ordine, un soggetto particolarmente credibile e affidabile nella prospettiva dei soggetti che con questi interagivano tramite il social network”.