Interviste a cura del direttore responsabile del Corriere Salentino Flavio De Marco a Sabrina MATRANGOLA, figlia di Renata Fonte, Avv. Vincenzo RENNA, “Libera” e Cosimo SORINO, direzione nazionale Siap, sindacato di polizia. Servizio a cura dell’avv.Vincenzo Renna
LEVERANO – Il teatro comunale di Leverano è un tempio di memoria viva quella sera del 31 marzo. Non c’è posto vuoto mentre la luce tremula sfiora i volti attenti di una comunità intera venuta a celebrare non tanto un’assenza, quanto una presenza che ancora palpita nel cuore di chi ha scelto da che parte stare.
La voce di Emilia Tramacere, tessitrice instancabile di questa cerimonia, si leva chiara nell’introdurre l’intitolazione del Presidio di Libera a Renata Fonte. La sua conduzione, magistrale nella delicatezza e nella fermezza, trasforma un evento istituzionale in un momento di intima condivisione. “Finalmente la nostra cittadina ha un presidio di Libera concretamente costituito,” esordisce con emozione trattenuta, narrando la genesi di un sogno perseguito per quindici anni “grazie alla testardaggine di un gruppo di amici di Libera, quella che possiamo chiamare la vecchia guardia.”
Il sindaco Marcello Rolli prende la parola con gravità istituzionale che non nasconde il coinvolgimento personale: “Rinnovo il ringraziamento a chi in questi anni si è impegnato per costruire processi di legalità.” Ricorda i 41 anni trascorsi dall’uccisione di Renata Fonte e richiama ciascuno alle proprie responsabilità, “educatori, familiari, genitori, politici, rappresentanti delle associazioni,” contro i tentativi di indebolire “il sistema scolastico” e “la magistratura.” Con accorata preoccupazione denuncia come ancora oggi “il nostro territorio spesso è aggredito, viene impoverito, viene vandalizzato, viene sciupato,” ricollegando la difesa dell’ambiente – per cui Renata ha sacrificato la vita – all’impegno quotidiano di ciascun cittadino.
In un passaggio di testimone simbolico tra generazioni, prende poi la parola Gemma Randolfo, sindaca del Consiglio Comunale dei ragazzi e delle ragazze di Leverano. Con voce nitida che stupisce per la sua maturità, confessa: “Il termine mafia è molto complesso, non riuscirei a spiegarmi il significato. È una cosa talmente grande che la mia mente non riesce nemmeno ad immaginare. Io però lo collego al bullismo.” Stabilisce con intuizione sorprendente il parallelo tra i meccanismi mafiosi e quelli del bullismo: “Paura, ricatti, violenza e omertà sono elementi distintivi del bullismo e, da quello che ho capito, sono gli stessi della mafia.”
Il vicesindaco dei ragazzi, Gianmaria Tramacere, aggiunge con sorprendente intensità: “La storia di Renata Fonte mi fa arrabbiare. Mi fa arrabbiare pensare che una donna, una madre, una persona con delle idee volte al bene comune abbia dovuto perdere la vita per portare avanti ciò in cui credeva.” È in questo momento che i giovani consiglieri presentano il loro dono più prezioso: un’ampolla contenente pensieri personali dedicati a Renata. “Grazie Renata per aver sovrastato l’odio e le violenze con la tua voce di cui ancora oggi si sente l’eco… Grazie per il tuo gesto straordinario. Sapevi a cosa andavi incontro, ma hai corso comunque il rischio per noi.” Le loro voci si fondono in un coro spontaneo e commovente: “Grazie Renata. Grazie Renata. Grazie Renata.”
Renzo Paladini, referente del Presidio di Libera di Leverano, ripercorre il cammino che ha portato alla costituzione del presidio, “un percorso che parte da lontano,” nato da “un’intuizione dei gruppi parrocchiali dell’ordine francescano secolare” che hanno iniziato 15-16 anni fa organizzando la lettura dei nomi delle vittime innocenti di mafia sotto la torre Federico II. Ricorda il supporto fondamentale delle parrocchie e delle istituzioni scolastiche, dei parroci e dei dirigenti scolastici, sottolineando come il patto stia già prendendo vita nei rapporti consolidati all’interno della comunità.
Con voce ferma, Paladini procede alla lettura degli obiettivi del patto: “Impegnarsi quotidianamente per la giustizia sociale, per la verità, per il bene comune, promuovendo azioni di lotta non violenta contro ogni forma di ingiustizia, di violenza, di illegalità, con conoscenza, etica e servizio.” Elenca poi gli altri punti cardine: promuovere percorsi di formazione, celebrare la giornata della memoria, sostenere i familiari delle vittime, realizzare processi di educazione alla partecipazione, promuovere l’uso sociale dei beni confiscati, vigilare sull’efficienza delle istituzioni nella lotta alla mafia, collaborare con altre realtà affini, impegnarsi per l’inclusione sociale e la tutela dell’ambiente.
La sua voce si fa più intensa quando, guardandosi intorno, menziona i problemi concreti del territorio: “Se penso alla figura di Renata Fonte, penso a quello che vedi in giro nelle campagne, vedo le campagne abbandonate, vedo questi terreni ormai luoghi di cui nessuno si cura più… E dobbiamo chiederci che succederà di questo territorio, del nostro territorio.”
Valerio D’Amici, co-referente di Libera Puglia, prende la parola con la gravità di chi sa quanto pesino le assenze. La sua voce si incrina quando ricorda il primo incontro con Sabrina: “Mi ricordo che mi dicesti una cosa davanti a tutti… Io nei campi porto che la testimonianza deve essere graffiante, deve essere un graffio la memoria.” Quell’immagine del “graffio della memoria” vibra nell’aria, segno tangibile di un dolore che diventa strumento di risveglio delle coscienze.
Vincenzo Candido Renna, del Presidio Libera “Renata Fonte” di Nardò, porta la voce della città natale di Renata, rivelando come quei giorni lontani “hanno cambiato la vita di molti, compresa la mia.” La sua testimonianza si fa vibrante quando afferma che “la criminalità organizzata, la mafia, chi pensa di fare del male consegna all’umanità l’immortalità di alcune persone. Renata è immortale perché il suo ricordo vive giorno per giorno con l’impegno di chi è insieme contro le mafie.”
E poi, finalmente, sale sul palco Sabrina Matrangola. Il silenzio si fa più profondo, quasi sacro.
“Oggi celebriamo una vita. Celebriamo quello che lei è stata per i suoi pochi, magici 33 anni. Non vogliamo ricordare un evento che ce l’ha strappata, vogliamo ricordare tutto quello che è stata e sarà nei nostri cuori,” esordisce con voce che accarezza e ferisce al contempo.
Le sue parole distinguono con precisione chirurgica il ricordo dalla memoria: “La memoria invece deve essere incarnata in ognuno di noi. È questo il graffio delle coscienze. Il nostro Luigi Ciotti che tuona nelle nostre vite, tuona nelle vite di tutti i familiari in ginocchio per queste assenze gigantesche e tuona con l’idea nobile meravigliosa, un po’ utopistica per alcuni di noi, di trasformare il dolore in impegno.”
Sabrina racconta di sua madre non come di un’icona irraggiungibile, ma come una donna vera, presente: “È bello non considerarli eroi perché considerarli eroi ne farebbe delle icone irraggiungibili e tutti noi ci sentiremmo in diritto di lasciare all’eroismo di qualcun altro ciò che invece spetta a me.”
Con toccante delicatezza, dipinge il ritratto di una donna di 33 anni che “ha vissuto come sposa, come madre, come insegnante, come amministratrice,” che ovunque fosse “ha raccontato la sua terra, l’ha dipinta, le ha dedicato liriche struggenti.” Perché, spiega Sabrina, “le donne hanno questo di magico. Sono creature fatate per un certo verso, perché si legano alla Terra visceralmente.”
Evoca poi i giorni drammatici della battaglia per Porto Selvaggio, quando sua madre “ha saputo dire no a qualcosa a cui qualcun altro aveva detto sì,” rimanendo “fondamentalmente da sola.” Con voce che non trema, Sabrina pronuncia la verità più dolorosa: “Io dico sempre che se fossimo stati tutti più vivi, più presenti, sarebbe stato più difficile prendere la mira.”
Rievoca le due fanciulle – lei e sua sorella – rimaste orfane, “che non hanno più risentito i passi della loro mamma in casa, non hanno più sentito il profumo, non hanno più potuto condividere i discorsi… e non avrebbero più ritrovato dei fiori di campo ogni sera ad attenderle con la cena.” Due fanciulle “inginocchiate e dimenticate da una cittadinanza” incapace di vedere il male che si annidava nella bellezza.
La parte finale della sua testimonianza si allarga all’orizzonte più ampio delle vittime delle mafie, “ormai oltre 1100 caduti, caduti nell’adempimento del dovere, caduti per caso perché erano in realtà nel posto giusto dove avrebbero dovuto essere.” Descrive con gratitudine la presenza di don Luigi Ciotti nelle loro vite, che “ha tuonato, ha tuonato e ci ha presi per mano, facendo sue tutte le nostre croci, abbracciando tutti i nostri dolori uno per uno.”
Il suo intervento si conclude con un’immagine potente: lo “scrigno” che è Porto Selvaggio, non solo bellezza naturale ma “anche un contenitore di cultura antropologica” con “vestigia di una cultura uluziana,” “muraglioni messapici,” “necropoli con strutture megalitiche,” “esempi di ceramica” e “torri costiere di avvistamento.” Uno scrigno “della nostra cultura antica, remota, quella da cui tutti veniamo e che è stato il fine ultimo della vita che stasera vogliamo celebrare.”
La serata si chiude con un racconto simbolico sulla musica del silenzio, un delicato omaggio floreale a Sabrina e l’annuncio di un prossimo appuntamento: sabato 5 aprile, i genitori di Michele Fazio, un’altra vittima innocente delle mafie, saranno ospiti a Leverano per condividere la loro testimonianza.
Nel cuore della notte, mentre le luci del teatro si spengono lentamente, Leverano ha fatto più che celebrare una memoria: ha sottoscritto un patto collettivo di resistenza e impegno. Come i fiori che spuntano testardi tra le rocce di Porto Selvaggio, la memoria di Renata continuerà a fiorire nei gesti quotidiani di chi ha scelto da che parte stare.
[Mentre assisto a questo evento tragicamente necessario in una terra dove la bellezza convive col dolore, non posso che riflettere su quanto sia fondamentale che tutte le comunità facciano rete contro le mafie. Le parole ascoltate stasera, soprattutto quelle di Sabrina Matrangola, non sono semplici ricordi ma semi di resistenza civile che tutti noi abbiamo il dovere di coltivare.