Di assoluta importanza nella vicenda rinascimentale e barocca della città di Lecce, Palazzo Adorno è tra le residenze signorili più prestigiose realizzate nella seconda metà del XVI secolo.
Siamo nell’area, ricca di memorie ebraiche, che fronteggia il complesso dei Celestini con l’attigua basilica di Santa Croce, il cui grandioso cantiere, diretto dallo scultore e architetto leccese Gabriele Riccardi detto anche Beli Licciardi (le varianti del nome, secondo fonti cinquecentesche, sono almeno cinque), prese avvio nel 1549.
Sul portale del Palazzo sono collocate, accanto alla settecentesca arma dei Personè, l’arma dei Loffredo Spinelli a destra, e quella degli Adorno, di origini genovesi, a sinistra, a testimonianza del succedersi delle famiglie che hanno abitato l’edificio.
La costruzione, datata intorno al 1568, oltre che per l’eleganza dell’armonioso prospetto, sorprende per la notevole veste decorativa che propone i raffinati motivi del repertorio riccardesco. È l ’unico palazzo del Cinquecento leccese che presenti il bugnato liscio all’esterno e sfaccettato nell’androne.
Nell’atrio, all’inizio della scalinata, si coglie il probabile ritratto di Ferrante Loffredo, marchese di Trevico, a cui la città di Lecce deve molto.
Nel 1543 venne nominato Governatore delle province di Terra d’Otranto e di Bari, per la provata lealtà verso l’imperatore Carlo V e la piena fiducia del viceré Pedro de Toledo.
Gli fu affidato il difficile compito di ammodernare ed abbellire le città e rafforzare le difese del territorio costiero dalle frequenti incursioni saracene.
Fu anche castellano di Lecce, che trovò raccolta nei quattro pittagi di Rusce, S. Biagio, S. Giusto e S. Martino. Le conferì l’aspetto di una munita piazzaforte militare, sovrintendendo all’edificazione della nuova cinta muraria e alla ricostruzione del castello – iniziative, peraltro, già avviate prima della sua nomina. Provvide a far pavimentare le strade cittadine.
Nel 1548 fece erigere da Gian Giacomo dell’Acaya, in onore di Carlo V, il maestoso arco trionfale (l’attuale Porta Napoli) e fece rinnovare, tra l’altro, la residenza della Regia Udienza che fino al 1584 ebbe giurisdizione sulle Terre di Bari e di Otranto.
Il suo governo durò quasi tre lustri. Promosse e favorì in ogni modo la vocazione signorile e culturale di Lecce, conferendole importanza strategica, circondandosi di aristocratici, letterati e giureconsulti di chiara fama.
Sposò Diana Spinelli, figlia di Carlo, conte di Seminara.
Fu quella la stagione in cui la città, sviluppando il retaggio culturale di Roberto Caracciolo (vescovo di Lecce nel 1485), Marco Antonio Zimara, Antonio De Ferraris detto il Galateo, e Scipione Ammirato, trovò in Gabriele Riccardi il caposcuola di un eclettico gusto ornamentale che è alla radice del barocco salentino.
Ormai integrata nel mondo asburgico di Carlo V, Lecce conobbe, in quel Cinquecento, una condizione di tale importanza sociale e culturale da rivendicare, nell'”Apologia Paradossica della città di Lecce” di Iacopo Antonio Ferrari, la precedenza nei Parlamenti generali del Regno rispetto alle altre città meridionali, seconda solo a Napoli.
Nella seconda metà del XVI secolo il Loffredo abbandonò il proposito di completare la residenza leccese, che fu affidata a Giovanni Matteo Adorno, il quale intese tramandare ai posteri la sua gratitudine al Loffredo, coniugando nel 1558 la propria arma con quella del Governatore su un altare della basilica di Santa Croce.
Agli inizi del Seicento Palazzo Adorno, venduto nel 1591 a Orazio Vignes, barone di Pisignano, divenne poi di proprietà del facoltoso barone di Sternatia, Giovanni Cicala, il quale, nel 1615, per religiosa devozione fece erigere da Francesco Antonio Zimbalo, nella basilica di Santa Croce, una sontuosa cappella in onore di San Francesco di Paola, con la vita del Santo raffigurata in dodici formelle.
Girolamo (1599 – 1643), il primogenito di Giovanni Cicala, alla morte del padre tenne per sé il palazzo paterno e vi trascorse la sua irrequieta esistenza, dedicandosi al culto della poesia e della musica. Amico di Ascanio Grandi, fu autore dei “Carmina”, poesie in latino edite postume, nel 1649, per iniziativa del fratello Simone per i tipi di Pietro Micheli, detto il Borgognone.
In argomento segnalo, per la ricchezza di analisi, il prezioso volume “Palazzo Adorno. Storia e Restauri”, 2000, a cura di Regina Poso. Il testo contiene i contributi di Mario Cazzato, Antonio Bramato, Antonio Cassiano, Vincenzo Cazzato, Cesare Colafemmina, Marcello Fagiolo, Gian Marco Jacobitti, Mario Manieri Elia, Simonetta Politano, Regina Poso, Gianni Refolo, Lorenzo Ria, Gino Rizzo, Michele Saponaro, Benedetto Vetere.