“Gli alieni siamo noi” — Una serata di rara grazia con Antonio Monda
Esiste ancora, a Nardò, un angolo di mondo dove il tempo rallenta e le parole recuperano la loro antica dignità. È il Caffè Letterario Neritonensis, che ieri sera ha accolto un evento destinato a sedimentarsi nella memoria: la presentazione di *Incontri ravvicinati*, l’ultima opera di Antonio Monda, scrittore, saggista, docente e, soprattutto, esploratore instancabile dell’animo umano.
Ad accompagnarlo in questo viaggio tra le pagine è stata Flavia Pankiewicz, giornalista e scrittrice di fine sensibilità, capace di trasformare il dialogo in una conversazione intima e corale, dove l’ironia si mescolava alla commozione con naturalezza disarmante.
Il titolo, che omaggia Spielberg, tradisce solo in apparenza la sua natura. Gli alieni di Monda non vengono dallo spazio: sono Meryl Streep, De Niro, Philip Roth, Muhammad Ali. Figure mitiche che, sotto la sua penna, si spogliano dell’aureola per mostrarsi in tutta la loro fragile umanità. Come ci ha ricordato l’autore, perfino E.T., l’extraterrestre più celebre del cinema, aspirava soltanto a ritrovare la strada di casa.
E casa, per Monda, è anche quella New York che attraversa il libro come una presenza viva: metropoli dei sogni e crocevia di destini, dove è arrivato da giovane portiere e si è trasformato in raffinato mediatore culturale, capace di muoversi tra i giganti dell’arte senza mai smarrire quella grazia d’altri tempi che rende autentica ogni relazione.
Il vero incanto dell’opera risiede però altrove: mentre ci racconta gli altri, Monda disegna il proprio autoritratto. Lo fa con quella discrezione che appartiene ai grandi narratori, lasciando che ogni aneddoto — da Michael Cimino a Oriana Fallaci, da Totò a Julia Roberts che quasi bussa alla sua porta — diventi un tassello di una confessione mai esplicita, sempre poetica.
Nelle sue parole pulsa una nostalgia luminosa, mai autocompiacente, che ricorda il “planare sulle cose” di Calvino. Monda lo pratica con spontaneità cristallina, intrecciando il sublime e il quotidiano, l’epopea e la commedia, mantenendo sempre quella misura che è il segno dei veri maestri.
Una delle pagine più intense del libro evoca Philip Seymour Hoffman e quello sguardo che “temeva che la sua anima fosse smarrita”. È forse in questo timore condiviso, in questa ricerca perpetua di senso, che si cela il mistero degli incontri ravvicinati: la capacità di riconoscersi negli altri, anche quando sembrano provenire da galassie lontane.
Al termine della serata, tra applausi calorosi e sorrisi complici, qualcuno ha chiesto a Monda di definire se stesso tra i suoi molteplici ruoli. La risposta è arrivata con la semplicità che contraddistingue le verità più profonde: “Comunico idee, tutto qui”. Elementare, come sono sempre le cose che richiedono una vita per essere comprese.
In un’epoca che privilegia il clamore, ieri sera a Nardò si è riscoperto il valore del sussurro. E si è capita, ancora una volta, una verità essenziale: gli incontri ravvicinati più autentici sono quelli che ci restituiscono un po’ della nostra umanità perduta.
Vincenzo Candido Renna