Ogni volta che percorro via Guglielmo Paladini, nel centro della Lecce vecchia, volgo lo sguardo all’interno dell’elegante androne di Palazzo Brunetti e mi sovvengono alcune immagini di un tempo andato.
Pietro Palumbo (1839 -1915), insigne storico, in quel luogo visse i suoi ultimi anni leccesi, componendo pagine memorabili, ricche di passione e dolore, dedicate ai protagonisti del Risorgimento Salentino.
In “Storia di Lecce”, opera magistrale, scrisse che in casa di Francesco Brunetti sorse l’idea di dar vita a quel Circolo patriottico salentino che vide protagonisti Bonaventura Mazzarella, Sigismondo Castromediano, Oronzo De Donno, Annibale D’Ambrosio, Alessandro Pino, Pasquale Persico, i fratelli Stampacchia, Gennaro Simini, Carlo D’Arpe, Leone Tuzzo ed altri ancora.
“Si radunava”, sottolineò, “in una stanza al largo del Vescovado, che ben presto divenne il centro della cospirazione”.
La feroce reazione borbonica non tardò a manifestarsi. Una colonna di truppe regie, al comando del generale Marcantonio Colonna, giunse il 13 settembre di quell’anno a Lecce. La città fu occupata militarmente.
In quei mesi misure di polizia ridussero al silenzio vari periodici: “Il Troppo tardi” di Leone Tuzzo, ” Il Salentino” dell’avv. Salvatore Stampacchia, poi ” Il Folletto” dell’avv. Gaetano Guerci , quindi “L’ Eco del Salento” che Beniamino Rossi, avvocato e musicista, reduce dalle barricate di Napoli del 15 maggio, ebbe l”audacia di pubblicare dieci giorni dopo l’arrivo a Lecce del Generale Colonna, inviato dal governo regio per reprimere ogni tentativo di rivolta.
Uguale triste destino ebbero “La Farfalla” e la “Japigia”, sequestrati anch’essi. Furono perseguitati giornalisti e tipografi, tranne coloro che collaborarono con la polizia borbonica.
La via, alle spalle del Duomo, è intitolata alla figura di Guglielmo Paladini che combatté per la Repubblica napoletana sul Ponte della Maddalena, dove trovò la morte il fratello Pietro.
Mi viene spontaneo, quando osservo l’androne in foto, il provare a immaginare quei giorni convulsi e travagliati del 1848 in cui, all’indomani delle stragi consumate il 15 maggio a Napoli, un gruppo di uomini cospirò a Lecce, contro il governo borbonico, per la causa della democrazia e della libertà.
Molti patrioti, i cui nomi compaiono ai piedi della statua di Sigismondo Castromediano, furono arrestati e processati di fronte alla Gran Corte Criminale nel palazzo fatto erigere dai Gesuiti, nell’attuale via Francesco Rubichi.
Pietro Palumbo raccontò quella tribolata stagione, con i suoi tristi episodi e le scene strazianti.
“La sentenza”, scrisse, “fece spavento e di notte fu stampata e affissa alle cantonate”.