LECCE – “È un grande piacere essere qui a Lecce, ma è importante capire quello che è successo in Brasile, perché è avvenuto un golpe. Nel mio Paese si può destituire il primo ministro per qualsiasi motivo. Nel presidenzialismo le figure di capo di governo e capo di Stato coincidono e alcune democrazie presidenzialiste, come la nostra e quella americana, prevedono l’impeachement”. Dilma Rousseff, ex Presidente della Repubblica Federativa del Brasile, destituita nel 2016 con un procedimento di impeachment, è l’ospite attesa all’Università del Salento in occasione del seminario internazionale, intitolato “La solitudine della democrazia”. L’ex capo di Stato si presenta in ottima forma, pronta a difendersi anche davanti ai giornalisti italiani dalle accuse di aver truccato il bilancio del Brasile. “Sono accusata di aver modificato lo 0,001 per cento del bilancio dello Stato cambiando una clausola che avevano modificato tutti i miei predecessori. Ma è una cosa che è sempre stata fatta così: una cosa che si poteva fare prima, a un certo punto non si può fare più”.
Insiste sul golpe Rousseff nel seminario internazionale leccese: ricorda che sono stati registrati i parlamentari mentre si accordavano per fermare l’ “emorragia” sacrificando la presidente, perché la “Mani pulite in salsa brasiliana” stava travolgendo tutti. In altre parole, l’ex capo del Brasile sarebbe stata vittima di un complotto, mentre la magistratura stava facendo un pesante giro di vite tra le file della politica, che probabilmente si è fatta tentare da liberalizzazioni, privatizzazioni e deregolamentazioni. I sei più grandi miliardari, secondo la versione dell’ex presidente, avevano interesse a far riprendere al Brasile il cammino dello “Stato minimo”, ovvero meno regole, meno Stato, meno spese sociali e più libero mercato. Insomma, i poveri e le classi medie con questo golpe sono stati fatti fuori dagli investimenti del Brasile. La grande rivoluzione di Lula, con i suoi programmi sociali, è stata frenata dai gruppi finanziari dominanti: è questa la verità della Rousseff, che spiega che 26 milioni di persone erano state tirate fuori dalla povertà assoluta e che era solo l’inizio.
“Non si può creare crescita con i tagli ed eliminando le spese sociali. Per 25 anni sono state congelate le spese per gli ultimi – spiega l’ex presidente – La democrazia è stata invasa da misure eccezionali unite al neoliberismo, con un impeachment senza responsabilità e con repressione contro i movimenti sociali”. La Rousseff dipinge un inquietante quadro mondiale sulla guerra a tutto campo del neoliberismo, che lascia il mercato a briglie sciolte e concentra la ricchezza in poche mani. “La democrazia è nemica di privatizzazioni, tagli e mercato senza regole”. È l’eterna guerra tra due teorie: quella neokeynesiana, in cui lo Stato interviene per eliminare le ingiustizie sociali, e quella del mercato e della finanza a briglie sciolte in cui tutto si regolerebbe da solo creando ricchezza, come per mezzo di una mano invisibile. Fino ad ora sembra che abbia avuto ragione Keynes: con lo Stato minimo le disuguaglianze crescono, la finanza si impadronisce della politica, la democrazia viene svilita e la ricchezza si concentra in poche mani, come ricordava il premio Nobel Stiglitz.
Il seminario che oggi vede protagonista Dilma Rousseff è promosso in occasione del venticinquesimo anniversario della pubblicazione di “Teoria della società” (Milano 1992), a firma di Niklas Luhmann e del professor Raffaele De Giorgi, ordinario Filosofia del Diritto a UniSalento, organizzatore dell’evento. «Utilizzando le tecniche teoriche elaborate in quest’opera – spiega De Giorgi – il Seminario intende riflettere sulle trasformazioni della struttura della società che si sono prodotte nell’ultimo quarto di secolo. Questo incontro si propone di discutere l’erosione delle democrazie contemporanee, la corruzione dei codici della politica e del diritto, l’esemplarità di eventi politico-costituzionali come quelli avvenuti in Brasile nel 2016».
«Negli ultimi venticinque anni, molti paesi dell’America del Sud hanno affrontato la questione della democratizzazione della politica e del diritto. A partire da una ricostruzione della loro memoria, hanno messo a nudo il loro passato originario, il loro passato recente, le forme della loro stratificazione sociale, aprendo così ampi spazi per il riconoscimento dei diritti – spiega il professor De Giorgi – Contro le oligarchie, politiche, economiche, militari, ereditate da vecchie e nuove forme di colonialismo, contro le politiche neoliberiste volute dal Fondo Monetario Internazionale, alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, si è affermato un nuovo protagonismo politico di movimenti sociali, organizzazioni politiche e sindacali, organizzazioni dei popoli indigeni che ponevano al centro del discorso la necessità di ripensare radicalmente la democrazia, e quindi la relazione tra politica, diritto, economia. Sull’onda lunga di tale congiuntura, forze politiche progressiste sono andate al governo in molti paesi dell’America del Sud. In Brasile l’elezione di Lula e poi di Dilma Rousseff hanno aperto una nuova stagione politica. Negli ultimi due anni, questo processo di democratizzazione ha subito un brusco arresto. Sotto la pressione esercitata dalla crisi economica, le vecchie oligarchie ritornano con mezzi più o meno legittimi al potere, ponendo nuovamente la questione della democrazia, della tutela dei diritti umani, del riconoscimento della differenza. Per tale ragione riteniamo che gli eventi politico-costituzionali che si sono verificati in Brasile nel 2016 – il procedimento di impeachment della Presidente democraticamente eletta Dilma Rousseff, le innumerevoli decisioni del Supremo Tribunal Federal, le decisioni del Parlamento brasiliano, il protagonismo politico di una parte della magistratura – rappresentano un privilegiato angolo di osservazione per comprendere la relazione tra politica e diritto nelle democrazie contemporanee».
Gaetano Gorgoni