
di Julia Pastore
GALLIPOLI (LECCE) – Quando arriva Pasqua, la ‘Città bella’ si arresta, ogni gallipolino interrompe la propria attività per dedicare un suo momento ai riti sacri. Riti, la cui “ouverture” si ha il venerdì precedente la domenica delle Palme, con la processione della Madonna Addolorata, lo “Stabat Mater” che parte dalla Chiesa del Carmine. Il venerdì santo, invece, la processione inizia alle 17, partendo dalla Chiesa del Santissimo Crocifisso, per diramarsi lungo gli scorci principali del centro storico.
Famiglie, bambini, fidanzatini presi per mano, turisti curiosi con la “reflex” al collo, e poi ancora, “selfie” mentre passa la processione. In quel labirintico e suggestivo isolotto che è Gallipoli vecchia, non ci si può perdere visivamente: è la folla che ti guida, perché in quel momento tutti i passanti camminano in un’unica direzione; non ci si può perdere nemmeno dal punto di vista uditivo: sarà il lamento evocato dalla tromba, dal tamburo e dalla “trozzula” (uno strumento che richiama i chiodi) a ricondurti verso la processione.
Colpiscono i penitenti che, per espiare i loro peccati, procedono scalzi e incappucciati (di ignota identità): qualcuno con le due “pisare”, un masso in pietra leccese sul petto e uno sulla schiena, a simboleggiare il peso del peccato; qualcun’altro imita l’atto di flagellarsi con la “disciplina”, una lamiera metallica.
Colpisce la delicatezza di una madre, che avvolge il proprio piccolo fra le sue braccia, per proteggerlo dall’umido e impetuoso vento gallipolino, ma che con gran devozione non si sottrae alla possibilità di rendere partecipe anche il figlioletto.
Colpisce, ancora, la signora anziana dai capelli canuti, che, costretta a restare dietro la finestra della propria casa, difende comunque la sua visuale, contro chiunque da fuori si azzardi a posizionarsi davanti a lei, impedendole di vedere la statua della Madonna, e la difende con orgoglio e brama, tanto da sembrare il tipico, senile personaggio femminile uscito da un romanzo di Camilleri.
La processione passa, procede molto lentamente, costeggia il convento di Santa Teresa, per poi sostare presso la Cattedrale di Sant’Agata, dove ogni venerdì santo si celebra non il funerale ma la morte gloriosa di Cristo; successivamente i fedeli, il parroco, i penitenti, le istituzioni e le due confraternite, del Crocifisso e degli Angeli, riprendono il cammino, che si protrae per tutta la notte, sino al mezzogiorno seguente. Alle tre di notte inizia la seconda fase della processione gallipolina: la statua della Madonna Addolorata viene sostituita da quella della Desolata, e si aggiunge una terza confraternita: quella della Puritá.
La giornata del sabato santo è caratterizzata da due momenti unici: la benedizione del porto e l’ultimo, materno abbraccio della Madre verso il Figlio crocefisso, ai piedi della Chiesa della Puritá.
Durante l’omelia della “Passio Christi” e al momento della benedizione di oggi, sabato santo, le parole di Don Piero hanno espresso un invito a non distrarci, a tenere lo sguardo concentrato sui grandi valori, quei valori che non tramonteranno mai, finché l’umanità esiste: sono i valori della giustizia, della legalità, del rispetto, della solidarietà, dell’attenzione verso coloro che sono ai margini, quindi non quei valori effimeri, di un momento. “Oggi é difficile avere lo sguardo concentrato, come quello di Gesù – prosegue il parroco – che ha il coraggio di fissarci e di orientarci. E se questo guardare è fatto con gli occhi della fede, se questo guardare arriva a cogliere un amore generoso, gratuito, possiamo migliorare alcuni atteggiamenti del nostro carattere. Gesù è lì, crocefisso sulla croce, per amor mio, e lì per via di un peccato che io ho commesso. La nostra vita senza amore non ha senso e noi abbiamo bisogno di un amore vero, di un amore gratuito, non interessato.
Oggi è difficile trovare l’amore disinteressato: tutti viviamo nella logica del ‘do ut des’, del ‘ti do a condizione che tu mi dia qualcosa’. E invece l’amore non è questo. Apriamoci a Dio: non viviamo nella logica dell’autosufficienza, perché è illusoria. La nostra vera eredità è una sola: siamo e resteremo sempre mendicanti d’amore. Oggi più che mai ci lamentiamo della mancanza di amore, dei soprusi, delle violenze, delle ingiustizie. Questo accade perché il cuore è diventato arido, vuoto. Dal venerdì Santo può cambiare la vita della nostra civiltà, l’essere dell’intera umanità, ma solo nella misura in cui ci impegniamo a donare l’amore che riceviamo, vivendo relazioni dove la prima preoccupazione non sia quella di un tornaconto bensì quella del servizio, del dono. Al contrario, dove si cerca il tornaconto, si arriva sempre all’ingiustizia; chi invece vive per servire, certamente contribuisce all’avvento di una civiltà nuova. Ciò sarà possibile quando decideremo di avere Gesù come punto di riferimento: lui è risorto per stare sempre con noi e, a meno che non siamo noi ad estrometterlo, lui ci guiderà sempre.
Fateci caso: quando una persona incontra un’altra e questa è significativa, la vita viene stravolta. Penso per esempio a due persone che si incontrano per caso e si innamorano: la vita si imposta a partire da quella persona significativa. La vita dipende l’uno dall’altro. E questo non costa fatica, anzi: diventa un’esigenza. Questo deve accadere anche nella nostra relazione quotidiana con il Signore. Gallipoli in questi giorni viene definita come l’isola della Pasqua, l’isola della gioia. Ma essere cittadini dell’isola della Pasqua implica anche una responsabilità: significa vivere a partire dall’altro, dalla persona che ti sta vicino, con gli occhi del Risorto e non con gli occhi dell’invidia, del risentimento, dandoci da fare non per distruggere ma per costruire”.