LECCE – Sabato 27 settembre giunge al termine la prima edizione di BITUME PHOTOFEST, il primo festival urbano di fotografia contemporanea del Sud Italia, creato dall’Associazione Positivo diretto di Lecce e realizzato con il sostegno di Apulia Film Commission/Regione Puglia e il patrocinio del Comune di Lecce, della Camera di Commercio e di Lecce 2019.
Con circa 50 esposizioni (outdoor e indoor) diffuse nel centro storico di Lecce e i Cineporti di Lecce, workshop tematici, incontri e approfondimenti con esperti e operatori di settore, Bitume ha portato l’arte della fotografia fuori dagli spazi canonici, per avvicinare nuove fasce di pubblico e dialogare a stretto contatto con il tessuto urbano della città.
Il Festival si chiude con due performance sperimentali, aperte a tutti e messe in scena negli spazi del Cineporto di Lecce (via Vecchia Frigole, 36). La prima (alle 22) è uno spettacolo di Teatro Danza “Si sta come…” di Erika Schipa. Liberamente ispirata all’opera Soldati di Ungaretti, “Si sta come…” è un’idea coreografica concepita e interpretata dalla salentina Erika Schipa, attiva a Bruxelles. Lo spettacolo nasce dall’esigenza di esprimere, attraverso la danza e l’arte del movimento, una condizione sociale, politica ed esistenziale di ‘immobilità’.
La Grande Guerra e lo stato precario dei soldati nelle trincee – di cui parla Ungaretti – è come la grande depressione che viviamo oggi, ed è anche la calamità che ha colpito L’Aquila. Si vive in un’epoca di sospensione. Si sopravvive, aspettando, senza una precisa idea di futuro. “Si sta come/d’autunno/sugli alberi/le foglie. Perché pur facendo, si resta immobili, appesi, impantanati. Immobili sì ma instabili, in un incerto equilibrio che è proprio delle foglie d’autunno, cui basta un soffio per farle cadere”.
Segue alle 22.40 (sempre al Cineporto) “Fluid Landscapes” di Mirko Guido. Concepita come una riflessione sulle comuni tendenze a percepire l’identità come uno statico status-quo, Fluid Landascapes è interpretata dai corpi danzanti e fluidi di Katrine Johansen e Louise Dahl, diretti dalla maestria del coreografo Mirko Guido.
Nella performance i due corpi si relazionano al loro essere temporanei, al loro essere in costante trasformazione; osservano e si connettono a quel movimento sottostante che all’apparenza può sembrare statico. È una ricerca d’infinita temporaneità nella pelle, nella carne, nei pensieri e nelle memorie, nei fluidi e nelle sensazioni, mentre la cognizione scivola continuamente tra cosa è ora, cosa era e cosa potrebbe essere (o sarà).
La pressione e le onde sonore trapassano e vibrano intorno ai corpi, ridefinendo e creando un nuovo spazio nello spazio, mentre le luci lavorano in una sorta di cooperazione organica. L’effetto è un luogo ipnotico e senza tempo, che ha il potere di definire e rifinirne la sensibilità attirando lo spettatore lungo il percorso e rendendolo partecipe di un incontro che sprona la coscienza dell’esperienza condivisa e lo incita a percepire, pensare, interrogarsi.