Oggi parlo di mio nonno materno che, insieme a mia nonna, sono stati dei secondi genitori per il sottoscritto, perché cresciuto in massima parte proprio da loro.
La cosa che più colpiva di mio nonno era la sua bellezza, ancora in età avanzata, figuriamoci in gioventù. Non lo dico perché fosse il mio avo bensì era una qualità riconosciutagli oggettivamente da tutti e da tutte.
Conobbe mia nonna quando erano ancora dodicenni, due adolescenti, e da quel momento si legarono per tutta la vita, convolando a nozze dopo circa dodici anni di fidanzamento. Oggi sembra che il 12 sia il numero ricorrente. Nonostante il legame fra i due, però, mio nonno era, come già asserito, troppo bello secondo i canoni dell’epoca, parliamo in particolare del ventennio, e questa cosa faceva perdere non poco la testa ad altre signore che, come ben si sa, di fronte ad un aitante maschio sono sempre state disposte a tralasciare lo stato civile proprio o dell’obiettivo delle loro mire. Oltretutto, scoppiato il Secondo Conflitto Mondiale, anche mio nonno, essendo ufficiale di complemento, fu richiamato in servizio ed assegnato ad un reparto di fanteria in Abruzzo, dove dovette recarsi da solo, lasciando a casa la moglie ed i figli, fra cui mia madre. In quel tempo, oltre alle attività operative inserite nel contesto bellico in atto, gli ufficiali svolgevano anche una certa forma di public relation, caratterizzata da feste, balli ed incontri presso i circoli ufficiali, a differenza di oggi che la costante penuria di denaro porta i nostri politici a svendere e liquidare le Forze Armate, i loro salari però non vengono mai toccati. Le feste ai circoli ufficiali oggi sono divenute delle rarità. Ritornando a mio nonno, c’è da aggiungere che, come se non bastasse pure il fascino dell’uniforme aggiunto alla dote innata, era anche il più elegante ufficiale del reparto. La sua diagonale (uniforme da parata in tessuto appunto diagonale) era, a quanto ci raccontava, in una particolare stoffa detta “Principe di Piemonte” in omaggio o forse analoga a quella indossata dall’erede al trono.
Fu così che fra un ballo ed un altro, quando i doveri del servizio lo consentivano, nonché la lontananza dalla famiglia, il mio avo fece perdere la testa niente di meno che alla sorella di un noto duca, che arrivò addirittura al punto di promettergli il transito nel ruolo degli ufficiali effettivi, se solo avesse lasciato la famiglia e fosse andato con lei. Ma gli uomini di quell’epoca, anche se facevano i galletti in linea con i costumi del regime, non venivano meno però alla parola data. Per loro le scappatelle erano solo scappatelle, da non confondere con i veri sentimenti. La povera duchessa dovette rassegnarsi all’idea che l’aitante tenente non avrebbe mai lasciato la famiglia, l’unica cosa rimasta sarebbe stata una fugace e sicuramente piacevole avventura ma nulla più.
Cosimo Enrico Marseglia