L’appuntamento con il caporedattore è alle ventitré esatte. Seduti al tavolino del bar poco distante dalla chiesetta di Santa Chiara, dividiamo una birra discutendo gli articoli del giorno. E’ un settembre insolitamente caldo. Estivo.
Rimasugli di un turismo scellerato vagano per la città barocca, comincia ad accalcarsi una piccola movida notturna e rimbalza fra le mura di pietra leccese l’incalzante vociare della folla.
“Dove eri l’11 settembre del 2001?” chiede Dario.
Bella domanda.
“Dove ero io quell’11 Settembre? Non saprei”.
“Scrivi qualcosa”.
Non ricordo dove fossi quel martedì dell’11 Settembre 2001, alle 8:46 del mattino (ora U.S.A) mentre i due aerei civili esplodevano nei cieli di Manhattan, dando luogo all’evento più spettacolare d’inizio millennio.
Avrò probabilmente trascorso il resto della giornata guardando (avidamente) la TV, come tutti in quel pomeriggio di fine estate.
E’ stata la prima tragedia mediatica della storia quella del 9/11. Nessun altro evento è altrettanto documentato, evidente, osceno.
L’immagine degli aerei dirottati, della gente disperata e del crollo delle torri a Ground Zero è impressa nella memoria, è entrata di diritto e di prepotenza nella storia, riscrivendola per sempre.
Ricorre quest’anno il decennale del tragico attentato alle Twin Towers; non è trascorso giorno, da allora, in cui siano state promesse nuove e importanti rivelazioni. Solita solfa.
Sorge oggi il dubbio che l’11 settembre sia qualcosa che va oltre ogni congettura, si ha l’impressione a volte che i media e le autorità degli States operino il possibile per tenere celate verità (troppo spesso) scomode. La corsa al petrolio è solo una delle tante motivazioni che hanno spinto gli U.S.A a intraprendere la campagna contro il terrorismo e la dittatura talebana.
In Against All Enemies, Richard Clarke (ex capo dell’antiterrorismo americano) spiega che le scelte di politica estera degli Stati Uniti negli ultimi anni, inclusi «il confronto con Mosca in Afghanistan, l’invio delle forze armate statunitensi nel Golfo Persico» e «il rafforzamento di Israele come base per un fianco meridionale contro i sovietici», hanno sicuramente contribuito a formare le motivazioni di al-Qāʿida.
La guerra in Afghanistan ha avuto conseguenze nefaste sull’economia statunitense e internazionale. Sotto l’egida dell’Onu e della Nato è stato avviato un processo di autogoverno, costato immani difficoltà e perdite. Bin Laden (mai accusato direttamente per gli attentati) ha perso. Sempre che sia davvero morto.
I sostenitori del complotto hanno accumulato vere e proprie fortune con l’11/9.
A organizzare l’attentato al WTC, secondo alcuni complottisti, sarebbe stato lo stesso governo U.S.A., spinto dalla necessità di creare un “Nuovo Ordine Mondiale” e dare una scossa a un’economia già da tempo in crisi.
Qualcuno ha avanzato l’ipotesi di una “demolizione controllata” delle torri; alcuni studi hanno dimostrato che l’impatto con l’American Airlines 11 e lo United Airlines 175 non sarebbe stato sufficiente a far collassare gli edifici in acciaio e, soprattutto, il WTC 7, edificio di 47 piani poco distante dalle torri (che neppure era stato colpito dai dirottatori).
Scrive Giulietto Chiesa nel suo libro Zero2, edito da Piemme: “Nelle polveri raccolte a Ground Zero, accuratamente verificate e analizzate dal professor Niels Harrit esperto in nanoscienze e nanotecnologie, docente all’Università di Copenhagen, sono state rinvenute tracce di super-termite, potente esplosivo a uso esclusivo dei militari. Questo esplosivo produce temperature altissime tali da poter sciogliere metalli che fondono solo sopra i 1500 gradi, cosa impossibile con l’incendio del kerosene. Quelle sostanze non dovevano essere lì, tra le polveri di Ground Zero”.
Avvolte pressoché nell’ombra sono poi le vicende del Pentagono e dell’American Airlines 77. Non oso neppure addentrarmici.
Fahrenheit 9/11 di Michael Moore, World Trade Center di Oliver Stone e il discusso Zeitgeist di Peter Joseph sono pellicole documentate che assertori convinti di dietrologie e complotti dovrebbero aver visto almeno una volta e che interpretano le vicende dell’attentato in chiave complottistica.
C’è insomma tanto di quel materiale (la rete è miniera inesauribile d’informazioni, più o meno esatte) che scrivere qualcosa che non sia già stato detto risulta impossibile.
L’attentato alle Torri Gemelle ha avuto non solo fortissimo impatto a livello sociale, ma anche (e soprattutto) economico. Nelle settimane seguenti al crollo del WTC le azioni americane hanno perduto 1.400 miliardi di dollari. Solo nella città di New York si contarono circa 430.000 posti di lavoro e 2,8 miliardi di dollari di stipendi persi nei tre mesi seguenti agli attacchi.
Sono molte le cose cambiate a partire da quella data, su tutte: la consapevolezza di essere di fronte ad un bivio, di dovere affrontare il nemico (vero o fittizio che sia).
“Guerra al terrorismo” “Guerra santa” “al-Qa’ida” sono oggi parole entrate a far parte del vocabolario comune. Abbiamo tutti imparato a convivere con le paure e le incertezze di una società in bilico, minacciata dal (fantomatico) “regno del terrore”.
Un uomo che, per assurdo, fosse entrato in coma profondo la mattina dell’11 settembre 2001 per svegliarsi esattamente oggi, troverebbe davanti a sé un mondo irriconoscibile e, a tratti, angosciante.
La consapevolezza è che quella mattina di settembre la storia è stata riscritta per sempre. Allora le principali testate scrissero che nulla sarebbe stato più come prima. Non avevano torto.
Concludo questo breve articolo citando testualmente le parole di Giulietto Chiesa in una recente intervista: “Occuparsi dell’11 settembre non è mero esercizio storico, ma riflessione sul presente e sul futuro”.