Questa è una storia vera!
Prima di raccontarla, mi sono dovuta ricaricare un po’, perché fa male e bene al tempo stesso e tocca nel profondo.
Come la musica è nella vita, la accompagna, così gli angeli ci passano accanto, gli parliamo e non lo sappiamo, finché …
Sanità, questo è l’ambiente di codesta narrazione, una nella quale un errore può costare la vita, ad uno dei pazienti di una stanza di un nosocomio.
È quanto stava accadendo. Non prescritta nella terapia assegnata dal dottore, un’infermiera decide di somministrare il farmaco previsto per il paziente affetto da diabete e l’insulina contemporaneamente, ad effetto rapido oltretutto. Nessuno da allora passa nelle stanze a controllare i pazienti.
La persona in questione comincia a dare segni di profondo nervosismo, che non ha nulla di normale. Corrisponde piuttosto ad uno stato psicofisico alterato, da sfasamento dei valori glicemici e pressori (poiché prevista in terapia al mattino anche la pillola per la pressione, ma non secondo quei dosaggi, come era stato ribadito dai parenti).
Chi gli è accanto, cerca di calmarlo e di distrarlo, di rassicurarlo, finché il paziente in questione comincia a sentirsi stanco, quasi debole.
Si stende un attimo sul letto e Morfeo inizia a scendere su di lui.
Ed anche qualcun altro: il sudore, lo storpiamento del viso, l’assenza da sé, il freddo.
La persona accanto a lui nota qualcosa di strano e comincia a chiamarlo per nome, ma lui non risponde.
Allora chiama i soccorsi, che arrivano e si tuffano su quel poveretto che, nel sonno, a mano a mano, stava perdendo totalmente coscienza, fino a non rendersi conto che, per riprenderlo, lo hanno dovuto riempire di flebo. I valori vitali erano al minimo.
Per fortuna, la persona si riprende, ma rimane molto scossa e non sa che, di lì a poco, riceverà un altro contraccolpo emotivo fortissimo.
Scende la sera, le visite dei parenti, spaventati e adirati allo stesso tempo, ma anche grati alla persona accanto, stanno per terminare, quando si inizia a notare che, proprio la persona che aveva dato l’allarme, comincia a non stare bene, pur affermando il contrario.
Ha il respiro affannoso, è rossa in viso e ha le gambe gonfie, ha un po’ di freddo.
Subito, chi è vicino chiama qualcuno, gli dà una coperta, gli alza un po’ la spalliera del letto.
Vengono un dottore e un’infermiera, controllano che sia tutto a posto e tranquillizzano la persona, somministrandole ossigeno.
La cosa, al momento, termina lì.
Scende la notte, e con essa il panico e la paura, la tremenda certezza di essere in mani poco sicure.
La persona torna a sentirsi male, si chiama soccorso.
Ha bisogno di andare al bagno, ma viene rimproverata per aver cercato di alzarsi e, pur constatando che non ce la faceva con altri mezzi, il personale apposito non ha fornito alcun aiuto.
Si è ricontrollato, aveva ancora le gambe gonfie.
La scena si ripete, solo che, stavolta, visto che non arriva nessuno, la persona si alza, ma quella vicino, vedendo che si dirigeva al bagno, non ha avuto né il tempo, né la forza necessaria, indebolito com’era per quello che era accaduto in mattinata, di aiutarla, ed è caduta per terra.
Si cerca, invano, di chiamare aiuto … non risponde nessuno.
Allora, si prova ad attirare l’attenzione, facendo, come meglio si può, tanto rumore, tanto che i soccorsi arrivano, ma da parte dei pazienti delle stanze accanto, che escono nel corridoio con le flebo, per aiutare i due.
Alla fine, allertata dal trambusto e da qualcuno che, probabilmente, l’avrà cercata, arriva l’infermiera, insieme ad una collega.
Rialzano il paziente, rimproverano tutti, incluso quello accanto che aveva chiesto di far controllare la persona, visto che era caduta per terra, la rimettono a letto e nessuno chiama un medico, che era stato chiesto, da parte di tutti, di allertare.
Per mettere a tacere i pazienti, è stato loro detto che sarebbe stato fatto, ma non è accaduto e veglia e respiro, in quella stanza, sono andati di pari passo, fino al mattino presto, quando uno dei due, stanchissimo e scosso come non mai per l’accaduto, ha chiuso gli occhi, appisolandosi un attimo.
Di lì a poco, anche l’altro li ha chiusi, per intraprendere un viaggio.
Dopo un po’, è arrivato il medico. Per il resto della notte, nessuno si era fatto vedere, né è passato a controllare.
Ha salutato allegramente il paziente per dargli coraggio, ma nessuna reazione ha seguito il suo saluto. Allora ha controllato il battito, ha tentato un massaggio cardiaco, ed è rimasto raggelato, quando, il paziente accanto, svegliandosi, gli ha detto: “È morto, vero? Per colpa vostra. Nessuno si è fatto vedere, l’ho vegliato fino all’ultimo e giusto quando mi sono appisolato è morto”, scoppiando in un pianto dirotto.
Proprio quella persona, conosciuta da due giorni, che lo aveva salvato e lui non aveva potuto far altro.
E il colmo è che il medico ha asserito di non essere stato chiamato per nulla quella notte e che era disponibile.
Al risveglio, il terrore e il dolore regnavano nel reparto, inutile dire perché.
Incoscienza, indolenza, mancanza di disponibilità e di professionalità l’hanno fatta da padroni, ed una persona che, probabilmente, date le gravi condizioni, sarebbe comunque morta, è deceduta in una maniera che ha qualcosa di raccapricciante e orribile, umanamente orribile.
Un angelo è volato in cielo salvando una vita umana, in cambio ha dato la sua.
“Ho conosciuto un angelo”, è stata la frase dei parenti del paziente accanto e di lui stesso.
Ed io la riporto per come l’ho conosciuta.
Cosa auspico? Che chi intraprende professioni del genere lo faccia non per un giuramento allo stipendio, ma per abbracciare realmente, e con coscienza ed umanità, una missione, nonostante i tanti tagli alla sanità, che sicuramente non aiutano.
Diversamente, faccia altro.
Concludo solo dicendo che, naturalmente, queste cose sono state segnalate alle persone idonee e i familiari faranno il resto.
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